mercoledì 25 febbraio 2015

ALESSANDRO MANZONI

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« L'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo. »
(A. Manzoni, Lettera al marchese Cesare d'Azeglio)
Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano. È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana. Fu senatore del Regno d'Italia.

Il nonno materno di Manzoni era Cesare Beccaria, noto illuminista, autore del trattato Dei delitti e delle pene posto nell'Indice dei libri proibiti. La figlia di Cesare Beccaria e di Teresa Blasco (1744-1774) - donna di notevole avvenenza di nobili origini siciliane e spagnole, figlia di un colonnello spagnolo -, Giulia Beccaria (1762–1841), donna di grande cultura e sensibilità letteraria, fu la madre del Nostro. Il padre dello scrittore, don Pietro Manzoni (1736-1807), discendeva da una nobile famiglia di Barzio, in Valsassina, scesa successivamente a Castello, nel lecchese, e stabilitasi a Milano nel 1612 con il conte Giacomo Maria Manzoni. La famiglia Manzoni, decaduta, aveva perso il titolo comitale e non era stata ammessa a far parte del patriziato meneghino.

Per quanto i Manzoni avessero poi preso possesso del feudo di Moncucco (concesso loro da Vittorio Emanuele I di Sardegna nel 1773), e per quanto in virtù di ciò fossero conti, il titolo a Milano non era valido perché "straniero". Inizialmente don Pietro presentò al governo austriaco una richiesta ufficiale perché fosse riconosciuto, ma poi preferì non insistere. In ogni caso, quando, molto più tardi, Roma attribuirà a Manzoni la cittadinanza, il titolo comitale apparirà sull'atto ufficiale, e verrà mantenuto dalla sua discendenza.

È stato detto - ma potrebbe piuttosto trattarsi di una «diffusa diceria» - che il padre naturale di Alessandro potesse essere un amante di Giulia, Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro e Pietro Verri). Con Giovanni, uomo attraente e libertino, ella aveva avviato una relazione già nel 1780, proseguendola anche dopo il matrimonio. Dalle parole di Niccolò Tommaseo pare evincersi come Verri fosse il vero padre dello scrittore, e come questi ne fosse pienamente a conoscenza: «Anco di Pietro Verri  ragiona con riverenza, tanto più ch'egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d'essere nepote di lui, cioè figliuolo d'un suo fratello».

Alessandro Manzoni nacque a Milano, al n. 20 di via S. Damiano, il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni, figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante-imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro. Il battesimo fu amministrato nella Chiesa di San Babila.

I primi anni di vita li trascorse prevalentemente nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri, una contadina del luogo. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. Sin d'ora passò alcuni periodi alla villa rustica di Caleotto, di proprietà della famiglia paterna, una dimora in cui amerà tornare da adulto e che venderà, non senza rimpianti, nel 1818. In seguito alla separazione dei genitori (avvenuta il 23 febbraio 1792; successivamente, dal 1795 - ma la relazione cominciò molto prima, forse nel 1790, anno in cui sembra si siano conosciuti - Giulia Beccaria andò a convivere con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Manzoni venne educato in collegi religiosi.

Il 13 ottobre 1791 fu accompagnato dalla madre a Merate al collegio San Bartolomeo, dei Somaschi, dove rimase cinque anni, soffrendo per la lontananza dall'affetto materno e per il difficile rapporto con compagni maneschi e insegnanti che lo castigavano spesso. La letteratura era già una consolazione e una passione. Durante la ricreazione, racconterà lo scrittore, «mi chiudevo in una camera, e lì componevo versi».

Nell'aprile del 1796 passò al collegio di Sant'Antonio, a Lugano, gestito ancora dai Somaschi, per rimanervi fino al 1798. Nonostante il collegio perseguisse un fine educativo orientato in senso religioso, l'istruzione impartita teneva conto della letteratura profana, riconoscendo nell'Arcadia e nel Frugoni dei modelli di stile e ammirando Dante più di ogni altro poeta. Nello stesso anno in cui Manzoni arrivò a Lugano, giungeva sul Lago Ceresio il somasco Francesco Soave, celebre erudito e pedagogista. Per quanto sia del tutto improbabile che Manzoni l'abbia avuto come maestro (se non per qualche giorno), la sua figura esercitò sul bambino una notevole influenza. Vecchio e prossimo alla morte, l'autore de I Promessi Sposi ricordava: «Io volevo bene al padre Soave, e mi pareva di vedergli intorno al capo un'aureola di gloria».

Passò in seguito al collegio Longone di Milano, gestito dai Barnabiti. Alla fine del 1798 si trasferì quindi a Castellazzo dei Barzi, vicino a Magenta, dove l'istituto aveva stabilito provvisoriamente la propria sede. In campagna Manzoni trascorse solo il primo anno; il 7 agosto 1799 gli studenti del Longone tornarono a Milano. Non è chiaro quanto l'adolescente rimanesse dai Barnabiti, anche se l'ipotesi più accreditata lo fa supporre allievo della scuola fino al giugno 1801. I registri rivelano come Alessandro fosse compagno di due illustri personaggi quali Giulio Visconti e Federico Confalonieri. Un giorno imprecisato dell'anno scolastico 1800-1801, poi, gli scolari ricevettero una visita che suscitò nel Nostro una grande emozione. L'arrivo di Vincenzo Monti, che leggeva avidamente e considerava il più grande poeta vivente, «fu per lui come un'apparizione di un Dio».

Pur insofferente verso la pedantesca educazione dei succitati ambienti cattolici, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da questi studi gli derivò una buona formazione classica e il gusto per la letteratura. Nel 1799 sviluppò una sincera passione per la poesia e scrisse due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegnò a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose e universali.

La formazione culturale di Manzoni è imbevuta di mitologia e letteratura latina, come appare chiaramente dalle poesie adolescenziali. Due, in particolare, sono gli autori classici prediletti, Virgilio e Orazio, ma notevole è anche l'influsso di Dante e Petrarca, mentre tra i contemporanei, assieme al Monti, svolgono un ruolo importante Parini e Alfieri.

Se si escludono gli esercizi di stile precedenti, le primissime esperienze poetiche del ragazzo risalgono al 1801, ma non sono altro che frammenti collocabili nel contesto scolastico del collegio Longone. Tuttavia vi si può riscontrare una vena satirica e polemica che avrà un ruolo non trascurabile nel Manzoni adolescente, pur venendo mitigata già a metà del decennio. Ci restano le traduzioni, in endecasillabi sciolti, di alcune parti del libro quinto dell'Eneide e della Satira terza (libro primo) di Orazio, accanto a un epigramma mutilo in cui attacca un certo fra' Volpino, dietro le cui spoglie è facilmente riconoscibile il vicerettore del collegio, padre Gaetano Volpini.

Uscito dall'angusto mondo del Longone, visse dal 1801 al 1805 con l'anziano padre (ma tra il 1803 e il 1804 fu a Venezia), don Pietro, dedicando una parte non trascurabile del suo tempo al divertimento e in particolare al gioco d'azzardo, frequentando inoltre l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Giocava nel ridotto della Scala, finché, sembra, un rimprovero del Monti lo convinse a rinunciare al vizio. Fu anche l'epoca del primo amore: quello per Luigina Visconti, sorella di Ermes. Di questa esperienza sappiamo quanto il poeta stesso rivelò sei anni più tardi, nel 1807, in una lettera a Claude Fauriel. A Genova, infatti, l'aveva casualmente rivista, ormai sposata al marchese Gian Carlo di Negro, e l'episodio aveva risvegliato in lui la nostalgia e il dispiacere di averla perduta.

Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispirò le prime composizioni di un qualche rilievo, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Parini, portavoce degli ideali illuministi nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule lucano. A questo periodo si devono Del trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.

Il poemetto Del trionfo della libertà, composto di quattro canti, fu ispirato dalla pace di Lunéville, e rivela le simpatie filorivoluzionarie dell'autore, che si mostra ostile alla tirannia, passando in rassegna una lunga serie di eroi antichi e contemporanei - paladini della libertà e dell'amor patrio -, attaccando i sovrani e il Pontefice, e tradendo le influenze stilistiche di cui si è parlato, in particolare quelle del Monti, elogiato negli ultimi versi dell'opera:

« Salve, o Cigno divin, che acuti spiedi
fai de' tuoi carmi e trapassando pungi
la vil ciurmaglia che ti striscia ai piedi »
Al di là di peculiarità stilistiche che già si possono intravedere in filigrana, pare importante un appunto coevo con il quale Manzoni commentava il poemetto: «Io protesto che qui e dovunque parlo degli abusi. Diffatti ognun vede che qui non si tocca principi di sorta alcuna. Altronde il Vangelo istima la mansuetudine, il dispregio delle ricchezze e del comando: e qui s'attacca la crudeltà, l'avidità delle ricchezze e del comando». L'affermazione mette quindi in luce l'adesione del giovane ai valori evangelici, contestandone la realizzazione concreta negli uomini di potere, laici ed ecclesiastici. Il terreno per la conversione era dunque preparato sin dal principio, per quanto negli anni giovanili prevalesse la ribellione contro i modelli educativi ricevuti e contro il divario esistente tra morale cristiana e condotta effettiva di chi la doveva rappresentare.

Sempre del 1801 è il celebre sonetto-autoritratto, modellato su quello dell'Alfieri, secondo una moda che fu ripresa anche dal Foscolo. Ad una fronte dedicata alla descrizione fisica e morale fa seguito la sirima, quadro già piuttosto preciso delle ambizioni e delle peculiarità dell'autore, petrarchescamente attratto dalla gloria letteraria, ma anche schivo e immune dall'odio («Spregio, non odio mai»). L'impetrazione d'aiuto alle muse, tipica del genere, ricorre anche nel sonetto Alla Musa, scritto poco dopo.

L'innamoramento per Luigina Visconti è invece alla base dell'ode Qual su le cinzie cime, richiamo evidente, nello stile e nei contenuti, all'Amica risanata foscoliana, il cui primo verso, «Qual dagli antri marini», è chiaramente riecheggiato in una composizione mossa da un sentimento ancora vivo e commosso per la giovane, che da ingenua e ignara diventa, nel sonetto A donna amata - se, come sembra, anche questa poesia sia dedicata a Luigina -, una donna vagheggiata con più distacco, come se il tempo avesse ricondotto il sentimento entro i confini della razionalità.

Nell'estate del 1801 Manzoni andò a vivere con il padre nella sua casa milanese (oggi in via Santa Prassede), alternando la vita di città con soggiorni alla tenuta di Caleotto, e recandosi molto spesso a Pavia. Allo Studio pavese giungeva nel 1802 Vincenzo Monti per ricoprire la cattedra di eloquenza. Nei registri dell'ateneo il nome di Alessandro non risulta, ma è quasi certo che egli seguisse le lezioni montiane. Oltre alla nota ammirazione del Nostro per l'autore dei Pensieri d'amore e oltre all'opinione di illustri studiosi, sembra convalidare l'ipotesi il carteggio del periodo. I corrispondenti di Manzoni, infatti, sono quasi tutti studenti (o vecchi studenti) dell'università, da Andrea Mustoxidi a Giovan Battista Pagani, da Ignazio Calderari a Ermes Visconti.

Il contesto accademico lo dovette mettere in contatto anche con due professori giansenisti, Giuseppe Zola e Pietro Tamburini, docenti rispettivamente di «storia delle leggi e dei costumi» e di «filosofia morale, diritto naturale e pubblico». Le loro idee in difesa della morale lo influenzarono molto, oltre a introdurlo per la prima volta al pensiero giansenista. Tamburini condannava la Curia romana per le sue deformazioni ma vedeva nel cattolicesimo un imprescindibile modello. Per l'elevatezza delle sue dissertazioni parve a Manzoni un punto di riferimento al pari di Zola, definito «sommo» in una lettera al Pagani del 6 settembre 1804.

Altrettanto significativa fu la lezione filosofica di Vincenzo Cuoco, presentato a Manzoni da Lomonaco, il senso della storia vicino alle posizioni vichiane che espresse nei suoi scritti. Lomonaco, dal canto suo, accluse in epigrafe alle sue Vite degli eccellenti Italiani il sonetto manzoniano Per la vita di Dante del 1802. A diciassette anni, quindi, il giovane poeta vedeva pubblicato per la prima volta un proprio testo.

Nel 1803, dopo aver invitato senza successo Monti al Caleotto con l'idillio Adda, Manzoni non continuò a seguire le lezioni universitarie e passò un anno a Venezia, ospite del cugino Giovanni Manzoni, nipote di Pietro. Giovanni si era già stabilito in laguna tre anni prima, dopo aver partecipato alla Commissione che nel 1799 aveva deportato e arrestato i patrioti e i repubblicani milanesi. Non è chiaro perché Alessandro soggiornasse a Venezia, ma non sembrano avere avuto un ruolo ragioni politiche: piuttosto vi entrò il desiderio del padre di allontanarlo da uno stile di vita dissipato. Nella città dei dogi - dove s'invaghì di una donna sulla trentina sentendosi replicare, evidentemente dopo aver in qualche modo dichiarato i propri sentimenti, che «all'età vostra si pensa ad andare alla scuola e non a fare all'amore» - il giovane poeta rimase fino al 1804, scrivendo tre dei quattro Sermoni.

I Sermoni - la cui successione cronologica è incerta - mantengono l'impronta satirica cara a questo Manzoni, come emerge già dal titolo del primo, il Panegirico a Trimalcione, modulato sui versi del Giorno pariniano e ispirato, nel contenuto, a due satire dell'Alfieri, I grandi e La plebe. Di Trimalcione, sotto le cui vesti si celano i nuovi ricchi, coloro che hanno sfruttato la Rivoluzione per raggiungere senza scrupoli il benessere economico, si celebrano ironicamente gli avi "illustri" - truffatori, assassini, lenoni, cantastorie -, con uno stile che, rispetto al modello pariniano, è molto più vicino alla prosa e si vena di un forte realismo, facendo pensare ai Sermoni di Gasparo Gozzi.

D'altra parte, il secondo Sermone, Contro verseggiatori d'occasione (o Della poesia), non fa che rafforzare l'impressione di un riferimento gozziano, se è vero che questi scrisse tre componimenti in cui tracciava la figura del poeta, che non cerca l'approvazione del pubblico, e si scagliava contro coloro che pensano di poter pubblicare un libro di poesie solo per aver messo assieme due versi, o quelli che credono poter giudicare il valore di un componimento senza averne le competenze. Questi temi, presenti in Ad A. F. Seghezzi, Ad un amico e All'abate A. Martinelli, ritornano nel testo manzoniano.

A Giovan Battista Pagani mantiene l'impronta realistica degli altri due Sermoni: ai versi 68-70 troviamo una vera e propria dichiarazione di poetica volta ad affermare il primato della dimensione concreta e civile dell'arte manzoniana, lontana da ogni forma di astrattezza: «Fatti e costumi / altri da quel ch'io veggio a me ritrosa / nega esprimer Talia».

Amore a Delia, infine, è il parallelo tra la vita libertina della madre di Delia, costretta a un matrimonio coatto e poi sposa infedele, e i medesimi atteggiamenti della figlia, in un contesto più ampio in cui si vogliono condannare l'abuso di versi amorosi e gli atteggiamenti che logorano i rapporti di coppia.

Alessandro Manzoni morì di meningite il 22 maggio 1873 alle ore sei e quindici del pomeriggio. La malattia fu la conseguenza di un trauma cranico che si procurò il 6 gennaio quando cadde sbattendo la testa su uno scalino all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano. Le sofferenze furono acuite dalla morte del figlio maggiore Pier Luigi, avvenuta il 27 aprile.

Nel Cimitero Monumentale della città ambrosiana si tenne il solenne funerale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi diresse personalmente nella chiesa di San Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza nel 1882. L'ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna che ha dato personaggi come l'artista Piero Manzoni e il poeta e pittore Gian Ruggero Manzoni.

Il 29 dicembre 1923 in occasione del cinquantesimo anno dalla morte il Regno d'Italia ha emesso una serie commemorativa di sei francobolli ceduta in parte al comitato promotore della celebrazione.


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