martedì 28 aprile 2015

PERSONE DI VARESE : EMILIO MOROSINI

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Morosini Emilio nacque a Milano il 26 giugno 1830, unico figlio maschio di Giovanni Battista e di Emilia de Zeltner, entrambi di estrazione nobiliare.
Dal 1836 al 1842 frequentò l’istituto fondato e diretto da Antonio Boselli, dove, in anticipo sui tempi, nei programmi, oltre alle materie letterarie, erano incluse anche le lingue straniere, la ginnastica, il nuoto e la scherma. Studiò poi nel ginnasio di Brera, avendo come insegnante il patriota e scrittore Achille Mauri, e infine (1847) nell’I.R. liceo di Porta Nuova (poi liceo Parini).

Fin dalla tenera età strinse un’amicizia profondissima con i fratelli Emilio ed Enrico Dandolo e con Luciano Manara, i quali nutrirono un affetto speciale anche per il resto della famiglia Morosini. Già coinvolto nelle manifestazioni antiaustriache del 30 dicembre 1846 (giorno dei funerali di Federico Confalonieri) e del 21 febbraio 1848, Morosini si distinse in vari momenti delle Cinque Giornate (18-22 marzo 1848), militando nel gruppo di volontari che ebbe nell’amico Manara una guida sempre più autorevole. Cacciati gli Austriaci da Milano, Morosini prese parte all’inseguimento delle milizie nemiche in ritirata, entrando nel primo nucleo di quel battaglione dei volontari lombardi, comandato da Manara, che si sarebbe estinto soltanto nel luglio 1849 a Roma. Morosini fu tra i protagonisti (come attesta un’intensa lettera alla sorella Carolina) del primo vero scontro con l’esercito austriaco, avvenuto a Castelnuovo (tra Peschiera e Verona) l’11 aprile 1848 e risoltosi in una completa disfatta. Sebbene un successivo consiglio di guerra ne avesse decretato l’assoluta mancanza di responsabilità, Morosini fu richiamato a Milano (insieme a Enrico Dandolo) dal generale comandante delle milizie volontarie Michele Napoleone Allemandi: energiche pressioni in quella direzione aveva svolto Angelo Fava (che fu una figura cardine nella sua formazione), estremamente preoccupato per la sorte del giovane discepolo. Morosini entrò quindi con il grado di sottotenente nello stato maggiore del generale Ettore Perrone di San Martino, comandante della divisione lombarda, prendendo parte nel luglio 1848 alle sterili operazioni intorno alla fortezza di Mantova. Dopo la netta vittoria degli Austriaci sui Piemontesi avvenuta a Custoza, Morosini accompagnò Perrone a Bozzolo (28 luglio 1848), dove il re Carlo Alberto si era nel frattempo ritirato: in quel concitato frangente, il giovane milanese espresse, in una vibrante missiva indirizzata alla sorella Giuseppina, profondo sdegno per la discutibile condotta di guerra dell’esercito piemontese. Congedato dal generale Perrone con grandi attestazioni di stima, si diresse (insieme a Enrico Dandolo) dapprima a Vezia, presso Lugano, nella vasta tenuta di famiglia, per poi ricongiungersi finalmente (settembre 1848) all’amico Manara, che aveva costituito un corpo scelto inquadrato nell’esercito piemontese. Morosini entrò così come ufficiale nella 2a compagnia del battaglione dei bersaglieri lombardi (poi inserito nella divisione lombarda, comandata dal generale Girolamo Ramorino), con la quale, dopo interminabili mesi di attesa, visse la ripresa della guerra all’Austria (marzo 1849), sfociata in una terribile delusione.

Dopo l’armistizio di Vignale, che decretava lo scioglimento della divisione lombarda senza offrire garanzie ai sudditi dell’imperatore d’Austria, Morosini appoggiò senza esitazioni la scelta di Manara di portare il proprio battaglione in soccorso della Repubblica Romana, assediata dalle milizie francesi comandate dal generale Nicolas-Charles-Victor Oudinot.

Alla madre Emilia, fortemente contraria all’intervento in favore di una «massa di ostinati utopisti incorreggibili» (Capasso, 1914, p. 202), Morosini rispose da Roma il 1° maggio 1849 con le seguenti parole: «Del resto ora si tratta di difendere una città italiana da un’invasione straniera qualunque, si tratta dell’onore delle armi italiane così vilipeso, si tratta di agire in conformità alla riconoscenza che noi dobbiamo alla nazione Romana, che ci accolse così splendidamente...Della Repubblica non me ne importa un fico, ma dell’Italia e del suo onore penso diversamente. Credetelo, se foste qui, capireste che il nostro posto è in Roma e ci applaudireste» (ibid., pp. 204 s.).

Promosso tenente e distintosi nella campagna contro l’esercito napoletano (in particolare nello scontro di Rocca d’Arce del 27 maggio 1849), Morosini combattè valorosamente nella sanguinosa e decisiva giornata del 3 giugno 1849, nella quale, durante uno dei ripetuti assalti alla posizione di villa Corsini, vide cadere al proprio fianco Enrico Dandolo. Sebbene Emilio Dandolo e Manara avessero cercato nei giorni successivi di esporlo il meno possibile ai pericoli, Morosini, divenuto comandante interinale della 2a compagnia, dovette affrontare nella notte fra il 29 e il 30 giugno presso il bastione del Merluzzo un soverchiante attacco francese: gravemente ferito e fatto prigioniero, si spense all’alba del 1° luglio 1849. La salma fu tumulata a Roma nella cappella dei Cento Preti della chiesa di S. Francesco a ponte Sisto, ove erano già quelle di Manara, caduto il 30 giugno a villa Spada, e di Enrico Dandolo.

In seguito, alcuni commilitoni curarono il trasporto delle salme dei tre patrioti fino a Vezia, ove quelle di Morosini e di Enrico Dandolo poterono essere deposte in una cappella del giardino di villa Morosini. Alcuni anni più tardi Emilia Morosini de Zeltner trascrisse in un volume denominato Lettere dei ragazzi (non destinato alla pubblicazione) tutte le missive che dall’autunno 1847 al giugno 1849 erano state indirizzate a lei, al marito e alle cinque figlie da Emilio, dai fratelli Dandolo e da Manara.




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