domenica 10 maggio 2015

LE CITTA' DEL LAGO D' ISEO : CASTRO

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Castro è un comune italiano della provincia di Bergamo, in Lombardia.

Dal punto di vista naturalistico, notevoli sono i paesaggi in cui ci si può imbattere lungo la vecchia e tortuosa strada litoranea: la roccia di origine sedimentaria si sussegue in continue lastre sovrapposte, "meritandosi" il nome di "Orrido", e cala a strapiombo nelle acque del lago, creando piccole insenature a dir poco suggestive (i cosiddetti "bögn"). Nella parte alta del paese si può accedere ad una palestra di roccia naturale molto conosciuta dagli appassionati del luogo. Sulla strada litorale, in località Grè, è presente una cava di marmo, presente da più di 100 anni e famosa per il suo Ceppo di Grè, utilizzato in Italia ed esportato anche all'estero.

Il paese di Castro (dal latino "castrum" : fortificazione) ha un’origine risalente al periodo medievale, ed è nato su iniziativa del vescovo-conte di Bergamo come porto fortificato per gli scambi tra la pianura e le valli bergamasche, importanti prodruttrici di ferro, evitando di transitare per il territorio di Lovere che era in mano al vescovo-conte di Brescia e di pagare quindi i dazi imposti da quest'ultimo.

Tra il 1026 ed il 1041 il Vescovo di Bergamo veniva in possesso di ampie proprietà feudali nell’ Alta Val Seriana ed in Val di Scalve sulle quali estendeva la giurisdizione civile che prima esercitava solo sulla città.
Questi territori pur essendo ricchi di ferro, argento e legname, dipendevano strettamente dalle importazioni di biade e vettovaglie in regime di esenzione fiscale.
I traffici commerciali, avvenivano principalmente attraverso il lago.
La Val Borlezza , l’ Alta Val Seriana e, in misura inferiore, la Val di Scalve utilizzavano come sbocco naturale per i loro traffici il porto di Lovere.
L’infeudamento dei porti sull’Oglio e sul lago al Vescovo di Brescia, avvenuto nel 1037, creava però grossi problemi per i commerciali delle valli bergamasche.
Per non sottostare a tasse ed angherie di altri potentati, fu fondato con l’appoggio del Vescovo un nuovo porto fortificato (Castrum) che fungesse da capolinea settentrionale alla rotta commerciale bergamasca sul lago tra Sarnico e Castro, in parallelo alla rotta bresciana tra Iseo e Pisogne, che alimentava la Valcamonica.

Il nuovo Castrum, attraverso la creazione di una strada intagliata tra le rocce dell’orrido del Tinazzo (via della Corna) permetteva di collegare facilmente al lago la Val Borlezza e l’alta Valseriana senza dover passare attraverso il territorio di Lovere, sottomesso in quel periodo alla giurisdizione bresciana.
Tramontato il potere temporale del Vescovo, negli ultimi decenni del duecento il Comune di Bergamo investì dei diritti sul porto una famiglia di probabili origini cittadine, che per la sua provenienza forestiera prese il nome di Foresti.
Il contrasto tra la famiglia forestiera e le famiglie locali fu sanguinoso e portò all’uccisione di Odasio, capo della fazione dei Foresti.
I contrasti terminarono solo quando Maffeo Foresti di Castro, figlio di Odasio, fu nominato conte dall’ imperatore Ludovico il Bavaro e si legò strettamente alla famiglia Soardi di Bergamo, entrando in tal modo a far parte della più alta aristocrazia bergamasca.

Gli statuti di Bergamo concessero a più riprese a Castro il monopolio dei traffici commerciali con le valli in regime di esenzione fiscale ed il mercato sul porto.
Questo fu all’origine del contrasto con Lovere che si radicalizzò ancor più alla metà del ‘300 quando, passata ormai Lovere sotto la giurisdizione bergamasca, gli statuti di Bergamo, a modifica delle precedenti disposizioni, stabilirono che anche al porto di Lovere potevano essere trasportate senza alcun aggravio fiscale le biade, il vino ed i generi alimentari destinati alla Val Borlezza ed alla Val Seriana superiore.
Il contrasto con Lovere ebbe risvolti particolarmente cruenti nel periodo delle guerre tra guelfi e ghibellini, che vide Castro schierata con la Val Seriana superiore su posizioni guelfe mentre Lovere fu ghibellina.
La contesa fu lunga ed aspra e conobbe il suo momento più tragico il 9 Maggio 1380 , quando i ghibellini loveresi, forti dell’appoggio di forze camune, fecero una improvvisa scorreria notturna incendiando il paese di Castro ed uccidendo cinque persone, tra cui ben tre Foresti: Osebino, Brusa e Romerio.
I ghibellini godevano dell’appoggio di Milano, ma nel vuoto di potere apertosi con la morte del duca Gian Galeazzo Visconti, riuscì ad inserirsi abilmente un ambizioso Capitano di ventura al soldo dei Visconti: Pandolfo Malatesta .
Il Malatesta, appoggiandosi al partito guelfo, si ritagliò un feudo personale che comprendeva Bergamo e Brescia e nel 1407, ormai sicuro del dominio sulle città, decise di colpire i ghibellini camuni e Loveresi trasportando le sue truppe con una flottiglia di navi armate dai guelfi di Castro e di Solto.
Il 5 Luglio 1408, nonostante la resistenza del partito ghibellino, il duca di Milano dovette riconoscere Pandolfo Malatesta “signore di Brescia e di Bergamo”.
Nel 1409 Pandolfo Malatesta scriveva ai suoi ufficiali alcune lettere in favore dei Foresti di Castro che erano stati danneggiati con rapine, uccisioni ed incendi e concedeva loro un’ ampia immunità fiscale a remunerazione dei danni che avevano subito per il sostegno fornito alla sua causa.
Con intento pacificatore condonava poi i danni e le ruberie fatte dai Loveresi ai danni dei Foresti di Castro, purchè non eccedessero i 25 fiorini, ma rigettava decisamente la richiesta dei Loveresi che fossero spianate la torre e le fortificazioni di Castro, stabilendo che la Rocca del paese fosse custodita a spese dei Capitanei di Sovere e dei Celeri di Lovere.

Nel 1410 Pandolfo Malatesta concedeva ulteriori benefici ai Foresti ed a Castro e ordinava ai suoi di proteggere Castro con una squadra militare, caricandone interamente le spese sul comune di Bergamo e ripartendole poi tra il comune di Bergamo, il distretto e le Valli.
Nel 1414 il Malatesta disponeva che Lovere, che nel frattempo si era ribellata e si era data spontaneamente ai Visconti, fosse custodita da suoi fedeli guelfi di Castro e della Valseriana.
Dopo alcuni rovesci militari il Malatesta nel 1421 lasciò definitivamente la Lombardia.
Rimasto indiscusso padrone del territorio, Filippo Maria Visconti ispirò la sua politica locale ad una evidente preferenza ghibellina, elargendo privilegi a Lovere ed a Volpino.
A Castro, fedele al partito guelfo, venne invece imposta la demolizione della torre che difendeva il porto e dominava il lago.

Era ormai il momento dell’intervento di Venezia, che vedeva una minaccia nel rinato potere visconteo.
Vinta dai Veneziani, sotto il comando del Carmagnola, la battaglia di Maclodio (1427), i guelfi bergamaschi, cacciati dalla città e rifugiati nelle valli, fecero supplica di essere annessi al dominio veneto ed in prima fila erano naturalmente i comuni della Val Seriana superiore ed assieme a loro anche Castro.
Il 20 marzo 1433 Venezia, accogliendo varie suppliche, premiò quanti erano rimasti fedeli al suo dominio nei rivolgimenti della guerra: i Foresti di Castro ottennero esenzioni fiscali per cinque anni.
Inoltre, col beneplacito del Doge dell’ 8 settembre 1437, agli abitanti di Castro fu concessa una esenzione fiscale venticinquennale al fine di ricostruire la torre precedentemente distrutta per ordine del Visconti
L’avvento di Venezia riportava sul territorio un potere forte, capace di far rispettare le superiori determinazioni, ponendo termine ad un lungo periodo di anarchia amministrativa.

Da questo momento in poi Castro sarà accorpato in una estesa entità amministrativa indicata negli atti pubblici col termine di Comun da Solto, Ripa de Solto et Unione e compostra dalle località di Solto, Zorzino, Gargarino, Formignano, Riva di Solto, Fonteno, Xino, Pianico, Castro, Rocca, Rova, Val Maggiore, Pora, S. Felice al lago, Esmate.

Le vicende di questo Comune furono molto travagliate a causa di liti interne relative alla ripartizione dell’estimo.
Attorno al 1544 Castro usciva da questa struttura amministrativa per formare il Comune di Pianico, Rocca e Castro, ma rientrava nel comune maggiore pochi decenni dopo, costituendo quello che nella " Descrizione di Bergamo e suo Territorio" redatta nel 1596 da Giovanni da Lezze veniva chiamato il Comun da Solto, Caster et Riva, comprendente 2.760 abitanti.
La principale attività economica del paese di Castro fu dunque nell’antichità quella collegata al porto ed ai traffici via lago.

Il transito commerciale delle materie prime sul territorio di Castro non mancò però di stimolare la crescita in loco di attività manifatturiere legate alla trasformazione delle merci, favorita anche dall’ abbondanza di acqua derivata con opere di presa dal fiume Tinazzo.

Da documenti del comune di Bergamo dell’ anno 1229 veniamo a conoscere l’ esistenza in Castro di una fonderia per l’argento e probabilmente anche per il ferro.
In documenti notarili del 1364 sono citate le fucine di Castro e nel 1473 troviamo la notizia della fusione in Castro delle campane per Ardesio.
Nel 1596 il Da Lezze cita la presenza in Castro di “ una fusina da ferro grossa con rote trei”.
Dovrebbe trattarsi della medesima fucina riportata nel rilievo agrimensorio del 1626, conservato negli uffici comunali di Castro.
La presenza di acqua favoriva anche la crescita di altre attività manifatturiere, e principalmente tra ‘300 e ‘500 quella della follatura dei panni, attività strettamente collegata allo sviluppo di produzione dei panni di lana che rese fiorente in quel periodo la vicina cittadina di Lovere.

Un fattore assai rilevante impedì però lo sviluppo dell’attività manifatturiera di Castro e precisamente il fatto che tutte le strutture produttive, per evidenti motivi di derivazione d’acqua, fossero collocate lungo la punta del fiume Tinazzo (Borlezza), che con le sue frequenti e calamitose esondazioni distrusse in più occasioni gli impianti produttivi.
Una grave esondazione è ricordata attorno al 1535 e probabilmente fu la medesima celebrata in versi dal poeta Bergamasco Achille Muzio nel 1590.
Altre piene rovinose sono ricordate nel 1692 e nel 1737.
La piena del 1784 distrusse il forno fusorio costruito in riva al Tinazzo dal castrense Ludovico Capoferri.
Quest’ ultimo, singolare figura di imprenditore, uomo politico e libero pensatore, fu il primo ad orientare decisamente in senso industriale l’economia locale.
Suo continuatore in questo senso fu Giovanni Andra Gregorini, nativo di Vezza d’ Oglio , Sindaco di Castro e senatore del Regno d’ Italia nel 1870.

Gregorini acquistava nel 1855 la Fonderia posta sulla punta del Tinazzo a cavallo tra i Comuni di Lovere e Castro. Questa fabbrica sotto la Repubblica veneta fondeva cannoni da marina, ma sotto il governo napoleonico era stata ridotta a fabbrica di falci ed attrezzi agricoli.
Gregorini ed i suoi immediati successori con innovazioni tecnologiche e notevoli investimenti economici trasformarono la vecchia fabbrica in un moderno stabilimento tuttora in attività, che ha caratterizzato per oltre 150 anni l’economia e la vita sociale del paese di Castro.
Nel 1916 la canalizzazione e la deviazione del fiume Tinazzo metteva al sicuro dalle piene l’ intero paese e le strutture produttive, oltre a recuperare sull’ area della “Punta” ampie aree da destinare alla produzione industriale del nuovo Stabilimento.

Con il passare del tempo la siderurgia acquisì un peso sempre maggiore, tanto che nel XIX secolo si insediarono attività industriali tali da soddisfare le richieste di lavoro anche dei paesi limitrofi.

Ancora oggi l’economia del paese si basa sulla siderurgia, con una recente timida apertura alle attività turistiche.

Il borgo storico, molto caratteristico, è tipico di un paese che in passato era basato sulla pesca: vie strette, case molto vicine e ridosso del lago; è costruito attorno alla vecchia chiesa parrocchiale dedicata a San Giacomo. Risalente indicativamente ad un periodo tra il XIV ed il XV secolo, fu soggetta ad un’inondazione nel corso del XVI secolo, e fu riedificata due secoli più tardi con un portale in marmo di Zandobbio, opera dei Fantoni. La chiesa ora è sconsacrata e sostituita dalla nuova parrocchiale, sempre intitolata a San Giacomo, costruita nel 1969. Quest’ultima custodisce opere di buon pregio provenienti dalla vecchia parrocchiale.

Meritano menzione anche le chiese di San Lorenzo e della Natività di Maria. La prima risale al XII secolo ed è costruita, in stile romanico con le pareti in pietra a vista, su un’altura; la seconda venne edificata nel XIII secolo ed ampliata due secoli più tardi, custodisce affreschi risalenti al XVI secolo; quest'ultima è stata privata delle sue più belle e di valore decorazioni artistiche a causa di un furto da parte di ignoti avvenuto nel 2010.

Sono inoltre visitabili sia le rovine della rocca, sia il maglio Carrara, nella frazione Poltragno, azionato da una ruota idraulica.

Nel territorio comunale è presente l'area protetta Parco della Gola del Tinazzo, gestita dall'associazione Legambiente.




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