lunedì 8 giugno 2015

LE CITTA' DELLA PIANURA PADANA : MAGENTA



Magenta è un comune italiano della città metropolitana di Milano
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A metà strada tra Milano e Novara, placidamente adagiata in una pianura ricca di storia, di capannoni e di campi coltivati, c’è Magenta, grosso centro industriale passato alla storia per la famosa battaglia combattuta in epoca risorgimentale.   L’originario villaggio gallico fortificato sul Ticino, successivamente assoggettato dai romani, subì tutte le invasioni barbariche che nei secoli transitarono nel territorio, fu rasa al suolo, ricostruita e saccheggiata più volte.   La presenza di conventi, chiese e pievi sul suo territorio è secolare; i monaci della potente Certosa di Pavia cui nel ‘300 il feudo apparteneva ne migliorarono l’agricoltura e lo sfruttamento del terreno mentre il secolo successivo vi venne istituito un mercato che si svolge ancora oggi. Le origini della città di Magenta risalgono con tutta probabilità all’impero romano. Qui infatti, secondo la tradizione, Massimiano Erculeo fece costruire nel 297 alcune fortificazioni a difesa dalle scorribande barbariche provenienti da nord.
Il nome della città risale invece al X secolo. Ne abbiamo per la prima volta traccia in alcuni scritti di Bertari da Lodi del 1079 in cui si parla “de loco Mazenta” appunto. Durante il periodo medioevale la città dipendeva dalla Pieve di Corbetta, dove i magentini portavano i figlio per il battesimo.
Nel 1279 Magenta fu teatro di una battaglia fra la dinastia dei Torriani e quella dei Visconti che solo due anni prima si erano insediati alla guida di Milano. Al termine di feroci combattimenti in cui trovò la morte il generale visconteo Guglielmo Posterla, i Torriani furono respinti e i Visconti ebbero modo di mantenere inalterato il controllo su queste terre.
Nel 1310 l’imperatore di Lussemburgo Enrico (Arrigo) VII dopo aver visitato Torino, Asti e Vercelli durante il suo viaggio in direzione di Milano, sostò a Magenta, conferendole il titolo di Borgo. Durante tutto il medioevo Magenta rappresentò un feudo demaniale in alcuni casi dimenticato dai centri di potere, pertanto il suo sviluppo fu assai limitato e, come possiamo apprendere da alcuni scritti di visitatori ecclesiastici, anche la manutenzione di chiese e altri beni non fu priva di difficoltà. Nei secoli successivi Magenta fu principalmente centro agricolo abitato da contadini, ma anche residenza estiva per ricche famiglie milanesi che avevano possedimenti territoriali nelle campagne circostanti.

Prima del termine dell’epoca feudale Magenta passa da una signoria all’altra, ognuna delle quali ha lasciato tracce del proprio passaggio: opere pubbliche, palazzi, chiese e conventi, molte delle quali giunte in buono stato fino ai giorni nostri.

Durante la seconda guerra d’indipendenza, nel 1859, la città ed il territorio circostante fu teatro di una grande battaglia che vide i piemontesi e gli alleati francesi combattere contro le truppe austro-ungariche, vinta dai primi che si aprirono così la strada verso la conquista del lombardo-veneto.   A questa vittoria è stata anche dedicata la scoperta di un’anilina, un colore, avvenuta nello stesso periodo della battaglia, che il suo inventore chiamerà appunto Magenta, uno dei colori primari della quadricromia.

Pur non essendo stato un confronto di grande portata, la battaglia di Magenta è commemorata come il primo scontro che diede inizio al processo di unificazione dell'Italia che in tre anni di campagne militari condotte dai franco-piemontesi porterà alla riunione degli stati della penisola sotto il dominio dei Savoia, ma anche come il primo grande successo militare che mise in risalto la forza dell'accordo della Francia col Piemonte e l'ormai debolezza del grande apparato costituito dall'Impero austriaco che era sul punto di collassare sotto le insofferenti spinte rivoluzionarie italiane.

Nel luglio 1858 Cavour incontra segretamente Napoleone III a Plombières-les-Bains: secondo gli accordi stipulati, la Francia aiuterà il Piemonte in caso di attacco austriaco e, a guerra vinta, l'Italia dovrà essere divisa in tre regni organizzati in una confederazione sotto la presidenza onoraria del Papa (progetto poi non attuato). La cessione di Nizza e della Savoia sarà il prezzo territoriale dell'aiuto francese. Il 10 dicembre Francia e Piemonte stringono un formale trattato d'alleanza.

Il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II, nel discorso di apertura del parlamento piemontese (il cui testo viene concordato da Cavour e Napoleone III), afferma:

« ...Noi non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di Noi... »
(Vittorio Emanuele II)
Gli echi sono immensi in tutta la penisola: i lombardi manifestano il loro entusiasmo, mentre i volontari passano il Ticino per unirsi ai piemontesi. Il 23 aprile l'Austria invia un ultimatum al Piemonte intimandone il disarmo entro tre giorni: è l'occasione pazientemente attesa da Cavour per iniziare la guerra.

Scaduto il tempo previsto, gli austriaci invadono il Piemonte con l'intenzione di sconfiggere l'esercito sabaudo prima dell'arrivo dell'alleato francese. I piemontesi ostacolano l'avanzata del generale di artiglieria (Feldzeugmeister) Ferencz Gyulai allagando le risaie della Lomellina e del vercellese; i francesi, attraverso il colle del Moncenisio e da Genova raggiungono rapidamente il campo di battaglia. Il 20 maggio gli austriaci sono battuti a Montebello.

Mentre Gyulai attende con il grosso delle truppe intorno a Piacenza, Napoleone III lo trae in inganno oltrepassando il Po a Casale Monferrato e spostando velocemente l'armata francese dalla zona di Alessandria a quella di Novara per puntare verso Milano. Solo dopo le sconfitte subite il 30 e il 31 maggio a Vinzaglio e a Palestro, il comando austroungarico si accorge del tranello e ordina che il grosso dell'esercito sia spostato, attraverso Vigevano e Abbiategrasso, dalla Lomellina a Magenta. Gli austriaci retrocedono stabilendo così una linea difensiva tra il Naviglio Grande ed il Ticino; facendo saltare il grande ponte napoleonico di Boffalora sopra Ticino, tra Magenta e Trecate, che però resiste ed in parte rimane transitabile.

La notte tra il 2 ed il 3 giugno il genio francese, protetto dall'artiglieria, getta un ponte di barche di 180 metri di fronte a Turbigo: inizia così il passaggio del II Corpo d'armata che sostiene i primi scontri a Turbigo e Robecchetto. La mattina del 4 il generale Mac Mahon divide le sue truppe in due colonne dirigendo la Seconda Divisione guidata dal generale Espinasse verso Marcallo con Casone e la Prima Divisione di De La Moutterouge verso Boffalora sopra Ticino. Intanto le truppe austroungariche tardano ad arrivare ed il generale austriaco Clam-Gallas dispone le sue forze a triangolo con i vertici a Magenta, Marcallo e Boffalora.

Non appena Napoleone III sente tuonare il cannone, dal suo osservatorio nella torre di San Martino di Trecate, convinto che l'attacco di Mac Mahon sia in atto, ordina alle truppe in attesa presso il Ticino di muoversi verso i ponti del Naviglio di Boffalora, Ponte Vecchio e Ponte Nuovo. Gli austriaci fanno saltare i primi due; il ponte della dogana con quello della ferrovia, poco più a valle, rimangono così l'unico passaggio per raggiungere la sponda sinistra del canale. Ma Mac Mahon è fermo in attesa di coordinare i movimenti delle sue colonne e il III Corpo d'Armata francese tarda a giungere da Novara sul campo di battaglia.

Comincia, intanto, ad arrivare da Abbiategrasso il grosso delle truppe austriache il cui ingresso in linea rende la situazione critica per i francesi a tal punto che a Vienna viene inviato un telegramma che annuncia una schiacciante vittoria. Dopo accaniti combattimenti dall'esito incerto i francesi riescono a passare sul Ponte Nuovo solo quando gli austriaci, minacciati sul fianco destro da Mac Mahon, che ha risposto all'attacco a Boffalora, si ritirano attestandosi a Magenta. Nei combattimenti cade il generale francese Cler.

La battaglia divampa anche attorno alla stazione ferroviaria di Magenta; gli austriaci si ritirano nelle abitazioni civili sperando di difendere il territorio metro a metro. Il generale Espinasse viene colpito nei pressi di Casa Giacobbe, ma la sua colonna e quella di Mac Mahon, con una manovra "a tenaglia", attaccano il nemico trincerato nella cittadina. Verso sera i bersaglieri della Divisione del generale Fanti giungono a coprire il lato sinistro degli alleati. Gyulaj decide di optare per la ritirata strategica meditando su un contrattacco che non avverrà. Alla sera del 4 giugno, dopo la vittoriosa battaglia, l'imperatore Napoleone III nomina Mac Mahon Maresciallo di Francia e Duca di Magenta. L'8 giugno gli alleati con Vittorio Emanuele II e l'imperatore francese entrano vincitori in Milano, sfilando sotto l'Arco della Pace in corso Sempione.

Ogni anno, tradizionalmente, una ricostruzione storica con figuranti ricorda gli avvenimenti della Battaglia di Magenta.

In occasione del 150º anniversario dello scontro, la battaglia è stata spostata in campo aperto presso un'area periferica della città (e non più nel centro ove tradizionalmente la sfilata storica aveva luogo) per consentire agli oltre 300 figuranti di avere maggior manovrabilità nelle posizioni.

Casa Giacobbe, monumento ancora presente coi segni e le testimonianze dello scontro, è divenuto ad oggi un centro congressi e luogo espositivo del museo sulla battaglia.

Lo scontro di Magenta ha lasciato segni importanti anche nella cultura odierna, come ad esempio il color magenta, una mistura prodotta per la prima volta nel 1859 e che deve il proprio nome proprio all'omonima battaglia in ricordo secondo la tradizione del sangue versato sul campo dagli zuavi francesi.

Nella Parigi del secondo impero e in piena espansione, inoltre, venne realizzato il Boulevard de Magenta proprio per commemorare la grande vittoria dell'armata francese in Italia.

L'area del magentino venne rivalutata dal 1836 quando, con la costruzione di una dogana sul fiume Ticino, in prossimità del ponte napoleonico, nacque l'agglomerato urbano di Pontenuovo che venne ad unirsi a Magenta. Fu questo uno dei periodi di rinascita del comune di Magenta che sostituì gradatamente ma progressivamente gran parte dell'agricoltura con le prime industrie tessili ed alimentari. L'unico scontento degli abitanti fu quello di essere inclusi dal governo austriaco nella provincia di Pavia, anziché con la vicina Milano con cui il borgo aveva rapporti secolari. Alla fine del XIX sec. Magenta comprendeva già un ospedale locale costruito con la munificenza dei benefattori Giovanni Giacobbe e Giuseppe Fornaroli, a cui la struttura venne intitolata. Il 1947 vide Magenta elevata al rango di città, con decreto del capo dello Stato Enrico De Nicola.

Durante la seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, la famiglia ebrea milanese dei Molho, proprietaria di una fabbrica di minuterie metalliche a Magenta, fu salvata dai propri dipendenti, membri delle famiglie Cerioli e Vaiani. Dapprima fu trovato un alloggio in una cascina isolata, quindi una stanza segreta fu ricavata nel vasto magazzino al primo piano della fabbrica, ove i Molho (genitori e due bambini) poterono rimanere nascosti fino alla Liberazione. Per questo loro impegno di solidarietà, il 22 dicembre 1997, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito l'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni a Angelo Cerioli, alla figlia Dina Cerioli, ai generi Antonio Garbini e Battista Magna e alla cognata Caterina Vaiani. Il 20 luglio 2000, il Parlamento Italiano ha istituito il Giorno della Memoria a ricordo sia delle vittime dell'Olocausto sia di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Nei primi decenni del XX secolo la crescita della città proseguì in virtù della nascita di industrie tessili e chimiche che diedero lavoro e sviluppo anche ai paesi limitrofi. Nel secondo dopoguerra Magenta conobbe il suo massimo sviluppo passando dai 15.000 abitanti del 1951 ai 24.000 del 1971. La crisi economica degli anni ’70 portò alla scomparsa di alcune grandi industrie come la Plodari, prima azienda italiana nel settore delle serrature, della Laminati Plastici e della Snia, sostituita dalla Novaceta. Anche la Saffa fu costretta ad estendere la propria attività a nuovi settori

La Saffa (Società per Azioni Fabriche Riunite Fiammiferi) è stata un'azienda produttrice di fiammiferi tra le più importanti d'Italia e d'Europa. Attiva per 130 anni, dal 1871 al 2001, ha prodotto, oltre a fiammiferi di ogni tipologia, una linea di mobili disegnati da Giò Ponti e accendini per Cartier. È stata a lungo diretta dall'ingegner Pietro Molla, marito di santa Gianna Beretta Molla. Dopo la dismissione definitiva dello stabilimento, nel 2001, parte dell'archivio della SAFFA è stato recuperato e salvato dal macero grazie ad un ex dipendente.

Persone legate a Magenta:
Marco Balzarotti (2 marzo 1957) Doppiatore italiano, nato a Magenta
Gianna Beretta Molla (4 ottobre 1922 - 28 aprile 1962) è venerata come santa dalla Chiesa cattolica, nata a Magenta
Fabio Calcaterra (n. 1965) calciatore ed allenatore, nato a Magenta
Giulia Calcaterra (3 novembre 1991), ex ginnasta, modella e showgirl, nata a Magenta
Giovanni Cattaneo (3 agosto 1916 - 31 luglio 1943), sergente d'esercito, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nato a Magenta
Patrice de Mac Mahon, generale francese che combatté nella battaglia di Magenta, divenuto in seguito presidente della Repubblica francese
Andrea Noè (15 gennaio 1969) è un ex ciclista professionista, nato a Magenta
Carlo Ponti (1912 - 2007), produttore cinematografico, nato a Magenta
Alessio Rimoldi (4 luglio 1976), atleta vincitore della medaglia d'oro ai mondiali militari di Beirut del 2001, nato a Magenta
Roberto Salvadori (29 luglio 1950) ex calciatore, nato a Magenta
Cesare Tragella (4 gennaio 1852 – 8 maggio 1934), prevosto di Magenta dal 1889 al 1910
Francesco Bertoglio (15 febbraio 1900 – 6 luglio 1977), vescovo titolare di Paro, nato a Magenta



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