domenica 5 luglio 2015

CAMMINANDO PER LOZIO

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Il comune di Lozio ha una distribuzione non omogenea sul territorio: non esiste una frazione definibile “capoluogo” e la sede comunale si trova a Laveno. Il comune è raggiungibile attraverso la strada provinciale 92 che sale da Malegno. La strada che porta a Lozio è una diramazione della Provinciale che si distacca dalla Val Camonica in corrispondenza di Cividate – Malegno. La valle si presenta stretta, incuneata e ricoperta di bosco ceduo. Dopo aver percorso qualche chilometro la valle si apre, allargando la visione su uno splendido altipiano contornato da pinete e da boschi di conifere. Spettacolari, grazie alla loro conformazione dolomitica, le cime composte da vigorosi e glabri speroni rocciosi, come il mastodontico dente del Cimon della Bagozza (m. 2407), la Cima Bacchetta (m. 2549) e il Pizzo Camino (m. 2491), appaiono più alte di quanto siano e sono ambite palestre per l’alpinismo sportivo. Dalle sommità si può godere il panorama della Val di Scalve, dell’altipiano di Borno, della Presolana e dei gruppi del Bernina e dell’Adamello. Nei mesi estivi, l’altipiano dà vita a una vera e propria trasfigurazione cromatica, nella quale ogni colore sembra riflettere una luce più intensa. Lozio è in realtà il nome di un Comune formato da quattro frazioni: Laveno, Sucinva, Sommaprada e Villa, vicine fra loro ma ben distinte l’una dall’altra. Sucinva è situata verso il bordo orientale dell’altipiano. Il nucleo più antico risale al 1300, ha una piccola chiesa del secolo XVII dedicata a S. Antonio da Padova. Anche Laveno, capoluogo e sede del Municipio, si sviluppa intorno ad un nucleo medioevale ed ha una chiesa del secolo XVII, dedicata a S. Maria Assunta. La frazione più alta del Comune di Lozio è Sommaprada (m 1045) dalla quale si può raggiungere la chiesetta di S. Cristina, incuneata scenograficamente tra gli speroni di roccia della Concarena.

Il castello, come si può riconoscere oggi dalle poche rovine, aveva un primo muro di cinta che seguiva l'andamento ricurvo della roccia. Questo muro di cinta, che si attacca ai due lati alla roccia, ha un percorso di circa trenta metri. È costruito da pietre abbastanza regolarmente squadrate e disposte a corsi regolari. In esso si apre, rivolta verso ovest, la porta di ingresso, di cui rimangono ancora i due stipiti costituiti da pietre ben squadrate ma di cui è andato perso l'arco o l'architrave.
Nell'interno, appena oltre la soglia, sulla destra vi è un incavo di sezione quadrata di circa 15x15 centimetri che serviva per alloggiare la spranga che doveva fermare internamente il portone.
Dalla porta si passa in un vano di circa 6 metri, di forma rettangolare. Nella parete di fronte all'ingresso, cioè verso est sembra ancora di intravvedere una porta fiancheggiata da un pilastro, porta che immetteva in un secondo ambiente che aveva un andamento ricurvo.
Tra il primo ambiente e la roccia del mastio, cioè sul lato nord, sembra che vi fosse una vasca, oggi interrata, tanto più che nella zona vi è una sorgiva. Dal secondo ambiente quasi certamente si doveva passare alla famosa scala ricavata nella roccia, posta nella parte nord-est del roccione centrale, che rimane isolato in tutti i suoi lati. Questa scaletta portava al mastio, cioè alla cosiddetta torre posta a un livello più elevato, di cui rimangono notevoli ruderi e che, per quanto sembra, doveva avere andamento irregolare, più circolare che quadrangolare, per seguire l'andamento del terreno. Questa torre aveva almeno due piani.

La Chiesetta di S. Cristina, sorge in quota e in posizione isolata ed elevata, ai piedi di un vasto canalone ghiaioso che la pone in posizione visibile da molte delle montagne circostanti fin all'imboccatura delle Valle di Lozio. E' posizionata a ovest di Sucinva e a Santa Cristina e ai suoi fratelli Fermo (a Borno) e Glisente (a Bienno) fa riferimento l'antica leggenda carolingia dei tre che contribuirono con il loro esempio ascetico a cristianizzare la Valle Camonica. E' una bota (storia) che tutti i bambini di Borno, Lozio e Berzo e Bienno conoscono bene anche se in diverse (solo di alcuni particolari) versioni.

Si tramanda che al seguito di Carlo Magno erano venuti a combattere contro i Longobardi, i Giudei e i pagani del nord - Italia, tre fratelli di una nobile famiglia germanica provenienti dalla Selva Nera: erano Fermo, Glisente e Cristina. Tre cavalieri che avevano accompagnato il re franco in tutte le sue battaglie e erano tra i conquistatori della Valle Camonica. Stanchi di combattere e nauseati dagli orrori della guerra, i tre supplicarono re Carlo di poter lasciare l'esercito per diffondere la fede cristiana con l'esempio e non con le armi. Ottenuto il consenso, operarono una profonda conversione e decisero di dedicarsi alla vita ascetica, ritirandosi su tre differenti alture per pregare, vivere una vita contemplativa di penitenza. Glisente scelse come suo romitaggio un colle della Val Grigna, Cristina una zona impervia della Concarena in Val di Lozio e Fermo un'altura che dominava l'altopiano di Borno. I tre siti si trovavano all'incirca alla medesima altitudine permettendo una comunicazione visiva. Al momento di lasciarsi i tre fratelli si accordarono che ogni sera avrebbero acceso un falò per segnalare la loro presenza. Dopo alcuni anni i genitori dei cavalieri, venuti a conoscenza della vita che i tra stavano conducendo, inviarono dei messi a cercare i loro figlioli, ma non avendo saputo alcuna notizia, pensarono che fossero deceduti nella battaglia del "Mortarolo". Cristina era la più solitaria dei tre, non amava farsi vedere e parlava solo con gli animali. Un giorno però, dei pastori scovarono la grotta in cui si era rifugiata e si avvicinarono per conoscerla, ma lei per sottrarsi all'incontro spiccò un volo cadendo illesa ai piedi della Val Baione dove cercò un nuovo nascondiglio. Dopo quel salto prodigioso il suo falò non fu più visto da Fermo ma solo da Glisente che per mezzo di un'aquila comunicò al fratello che Cristina aveva cambiato dimora. L'aquila rimase poi con Fermo per fargli compagnia e per procurargli dei favi di miele. Cristina che ora si trovava molto più in basso, per non farsi riconoscere, si copriva con pelli di capra e quando cantava le lodi divine gli animali della montagna si avvicinavano ad ascoltarla scambiandola per una di loro. Una sera Glisente non vide più scintillare il falò di Cristina e all'indomani si recò con Fermo in Val di Lozio. Uno stormo di uccelli indicò ai due fratelli dove si trovava il corpo della sorella che giaceva immobile su un tappeto di fiori vegliato dai suoi fedeli animali. Quindi la seppellirono degnamente e più tristi che mai tornarono ai loro rifugi. Dopo qualche giorno nel luogo dove Cristina era sta sepolta, da una roccia, iniziò a sgorgare dell'acqua medicamentosa. Trascorsi alcuni anni anche Glisente morì e venne sepolto dai pastori nella cella della sua spelonca. Fermo, ormai vecchio e malato non potè far visita al fratello e continuò ad essere assistito dall'aquila che per intercessione divina era anche aiutata da un'orsa che lo riforniva di legna e di selvaggina. Quando morì alcuni mandriani e pastori del posto rinvennero vicino al cadavere del santo l'orsa che guaiva per la morte del suo padrone. La leggenda non fa menzione del luogo di sepoltura di Fermo ma si limita a dire che il suo corpo fu trasportato a valle. Tutti e tre gli eremiti morirono in concetto di santità e dopo qualche tempo iniziarono a compiere miracoli per cui le popolazioni di Borno, Lozio e Berzo edificarono a ciascuno di loro una chiesetta proprio sui luoghi del romitorio, iniziarono una secolare venerazione.

Curioso e caratteristico della valle di Lozio: nelle frazioni Sucinva, Laveno e Sommaprada il tabernacolo ha la forma di parallelepipedo su una base sagomata, con piccole colonne tortili e con decorazioni secentesche. Stagliata su una collinetta che domina tutta la valle di Lozio e che è visibile sin dalla strada che sale da Malegno a Borno l'elegante chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Làveno. Edificata nel 1600 si caratterizza con un bel portichetto con pilastrini e lesene in arenaria, davanti al portale. La pala dell'altare maggiore è del Morone mentre il paliotto e la soasa dell'altare si riferiscono alla "Madonna del Rosario".
Sempre a Làveno la chiesa di Santa Maria Assunta ha una pala del 1600, di Gian Giacomo Borni (Gaioni) detto il Bate (detto anche: Bati, Batte, Boni-Bate, Borgnini, Borni, Rambotti): nato nel 1635 a Ponte di Saviore da una famiglia originaria di Borno, morì a Ponte il 29 ottobre 1700) raffigurante la "Madonna col Bambino, i Santi Domenico e Caterina e un sacerdote".
La parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo a Villa fu ricostruita nel 1600 e conserva un notevole altare maggiore opera di Baroncino di Rezzato. Gli altari laterali sono invece attribuiti al milanese Antonio Veda. Di ottimoo pregio, oltre ad alcune opere lignee, sono pure gli affreschi di Antonio Guadagnini eclettico pittore nato a Esine (1817-1900) ha lasciato in Valle Camonica numerose opere che, per quantità e qualità, rivestono una notevole importanza come qulle a Pisogne nella parrocchiale dedicata a Santa Maria Assunta, nella parrocchiale di Gianico, a Esine, a Cividate, a Malegno, a Ossimo Superiore, a Borno, a Villa di Lozio. Moltissimi lavori di ottima fattura con anche molti affreschi come il ciclo di dipinti murali lasciato nella parrocchiale di Breno.autore anche di una pala e dell'affresco della vasta cupola.
Nella chiesa di San Giovanni Battista a Sommaprada è conservata una tela del 1600, raffigurante San Bartolomeo.
La chiesa di Sant’Antonio da Padova sorge a Sucinava, edificata nel 1600, contiene una tela seicentesca raffigurante la "Madonna col Bambino e i Santi Francesco, Saverio e Antonio da Padova" attribuita al Bate.

L’ex Casa Nobili a Villa di Lozio ospita il museo etnografico della gente di Lozio che raccoglie indumenti, strumenti di lavoro, suppellettili, oggetti vari… testimonianze di quella che era la vita di un tempo, della civiltà montana e contadina.
La casa-museo è organizzata su quattro piani che hanno conservato gran parte delle caratteristiche architettoniche di una volta, tanto nei materiali (legno e pietra) quanto nella presenza di alcune strutture particolari (le volte in pietra, i solai e pavimenti in legno).
Al piano terra si trovano la stalla e la cucina. Nella cucina, dove è ricostruito un camino sul quale è appeso il “parol” (paiolo), c’è un vecchio esemplare mobile da cucina, una credenza formata dalla “spicina “- la parte superiore con antelli in vetro - e dalla “farinera” - la parte inferiore con i grandi cassetti con apertura a ribalta che venivano riempiti di farina. Sui muri sono poi appesi strumenti e stoviglie varie utilizzati in cucina.
La stalla è invece sormontata dalla volta in pietra, all’interno della quale in un angolo di apre l’apertura che dal fienile posto al piano superiore consentiva un agevole rifornimento di fieno per gli animali. All’angolo opposto della stanza presto verrà ricostruito anche il cosiddetto “balarol”, un impalcato in legno con le panche, l’angolo della stalla dove una volta si passavano le serate; qui ci si riscaldava col calore delle bestie e si raccontavano ai più piccoli le bote, storie e aneddoti.
Al primo piano sono ricostruite due camere: una matrimoniale con un letto a due materassi sovrapposti (quello sotto in crine e sopra quello in lana), la culla, un cassettone da camera e, appesi alle pareti, quadri contenenti numerosi preziosi pizzi e ricami, risalenti anche al secolo scorso; l’altra camera è invece col letto singolo, un comodino con la sua candela, tendine in pizzo alle finestre e un cassettone pieno di biancheria che trabocca dai cassetti. Tra le due stanze da letto un piccolo locale è invece interamente occupato da vetrine che contengono e proteggono abiti (anche un vestito da sposa curiosamente scuro d’inizio secolo), biancheria intima, accessori d’abbigliamento femminili e indumenti vari.
Al secondo piano si trovano il fienile con rastrelli, forche, tridenti e i diversi tipi di gerle per il trasporto di fieno; l’era - lo spazio di passaggio tra esterno e interno posto dopo il portone d’ingresso che da sul retro - dove si trovano un carro col düf (giogo), l’aradel (aratro) e gli attrezzi per fare la legna. In uno spazio rialzato ci sono poi vari altri oggetti domestici: ferri da stiro, macchina da cucire, un soi (il grande recipiente di legno nel quale si lavavano i panni), cappello e mantello da pastore, pennello e rasoio da barba, ecc..
Nel sottotetto il solaio, un unico grande ambiente nel quale si trovano vari oggetti da militare tra i quali una portantina per feriti risalente alla prima guerra mondiale, l’angolo della scuola con un piccolo banco e una grande lavagna, l’angolo del “marengo” (falegname) e del “minor” (minatore) con i loro attrezzi, uno smielatore, tre diversi tipi di carriola, il vecchio sportello della banca e, appesi ai travi, esempi dei prodotti che dava la terra: granoturco, orzo, segale, frumento, ecc.



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