domenica 16 agosto 2015

ERBUSCO



Erbusco  è un comune situato in Franciacorta situato ai piedi del Monte Orfano, tra la pianura padana e il bacino idrografico del fiume Oglio.

Testimonianze neolitiche (dal 5000 a.C.) e poi Celtiche, Etrusche, Cenomane, Romane (via Gallica), Longobarde (possedimento del Monastero Reale Longobardo di Santa Giulia di Brescia), Franche.

Notevole la Pieve Antiqua di Santa Maria di cui oggi si ammira la versione del XII sec. costruita su resti precedenti, forse precristiani; notevoli anche i frammenti di pluteo (in arenaria del lago d'Iseo) del IX sec. (v. Amelio Tagliaferri, Gaetano Panazza e Araldo Bertolini) che richiamano quelli della Chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma.

Durante la Prima Guerra Mondiale ha ospitato corsi di specializzazione dell'esercito. Il sottotenente degli Alpini Giovanni Rolandi scrive a proposito dell'assalto finale al Passo del Tonale iniziato il 1º novembre 1918:

" la 161ª Compagnia del Mandrone, alla quale pure apparteneva il gruppo di assaltatori reduci freschi freschi da un corso di specializzazione ad Erbusco e da me comandati."

Il toponimo di Erbusco deriverebbe dal longobardo "der büsche", cioè "il boschetto". Tuttavia, secondo alcuni studiosi, l'origine sarebbe latina.

Il palazzo municipale fu fatto costruire negli ultimi anni del XIX secolo e primi anni del XX secolo da Gianpaolo Cavalleri, il fabbricato ha subito importanti trasformazioni murarie sia esterne che interne fino a giungere a come lo vediamo oggi.

Valorizzato dall'ampio prato antistante, il palazzo si erge in tutta la sua severità e solidità di linee architettoniche, mitigate dal gioco di vuoti e pieni dati dal portico e dalle torrette sul lato est ed ovest. Lo schema architettonico si sviluppa in senso longitudinale ed in particolare il prospetto sud vede il susseguirsi di belle colonne in pietra di Sarnico con capitelli tuscanici che sostengono sei archi a tutto sesto con spazioso intercolunnio corrispondente al riquadro compreso fra le finestre del primo piano. La facciata è vivacizzata da fasce orizzontali di tonalità più scura che sottolineano l'andamento orizzontale del corpo centrale del palazzo al quale conferisce particolare leggerezza l'elegante cordonatura curvilinea che sovrasta le finestre del primo piano. Addossata alla parete ovest si innalza una torretta con aperture sia al piano terra che ai piani successivi poi chiusa da una slanciata loggetta sostenuta da colonne.

All'estremità orientale del palazzo si innalza, tangente alla parete, un'altra torretta che presenta un alto portale cordonato in pietra di Sarnico ad arco a tutto sesto con battenti in legno e lunetta in vetro, sopra l'arco del portale una bella cornice di mattoni.

Un piccolo portalino d'ingresso immette alle varie sale del piano terra. La prima stanza a sinistra presenta un'importante volta unghiata sottolineata da una fascia in cui si trovano quattro medaglioni con decorazioni floreali, pregevole il grande camino dalle grosse volute bacellate in pietra di Sarnico la cui cappa presenta lo stemma della famiglia Cavalleri.

A destra dell'ingresso tre sale comunicanti tra loro: la prima molto lineare, la seconda con volta unghiata e la terza con particolare decorazione della campitura centrale (imitazione di un soffitto a cassettoni).
A pianta rettangolare, con orientamento est-ovest, evidenzia una successione di aperture che interessano tutte le pareti. Le porte e le finestre sono ad arco a pieno centro e la cornice lignea porta sulla ghiera dell'arco un cartiglio a ricciolo, pure in legno scuro. La volta, a padiglione, è imponente nella sua ricca decorazione allegorica

Il palazzo Martinengo, posto sulla sommità di una collina, presenta una caratteristica pianta a "U", con un cortile interno sul quale si apre un porticato di 11 campate centrali e 9 campate per ciascuna delle due ali, e mostra tutta la sua austera solennità nell'imponente raffinato portale d'ingresso, di chiara impronta seicentesca. Il portale è un inno alla pietra di Sarnico e alla bugnatura. A chiusura del giardino all'italiana, diviso dal viale centrale, si dipartono, segnate da due obelischi, due balaustre in pietra, formate da quattro spazi con colonnette sagomate ornate di pigne e vasi di fiori.

Nulla si sa dell'ignoto architetto che ha progettato questo palazzo, unico esempio del genere nel bresciano e incerta è anche la data di costruzione, anche se si pensa sia stata iniziata da Cesare Martinengo nel 1580-90 e continuata dal figlio Lelio, all'inizio del '600. Nel 1724 divenne proprietà Fenaroli, passando poi per successione ai Valotti prima e ai Bettoni poi. Intorno al 1820-1830 l'architetto R. Vantini demolisce l'alto muro che chiudeva alla vista il palazzo, sostituendolo con l'alta cancellata neoclassica. E' lo stesso Vantini che toglie le lesene che sottolineano le spaziature fra le aperture del primo piano delle ali laterali. Nel prato antistante il palazzo esistevano delle case, che in seguito furono distrutte e sostituite dallo spazio verde che si apre sull'ampio panorama del Monte Orfano.

Il palazzo Moretti, al centro del paese, presenta una facciata composta da tre corpi architettonici di cui il centrale è leggermente rientrante. Un forte marcapiano lega le tre strutture. La parte centrale della facciata è caratterizzata dall'armonica simmetria delle tre aperture ad arco a pieno centro, con cordonatura modanata in arenaria, che si aprono sia al piano terra che al primo piano. Le lesene piatte, che salgono fino alla zona decorativa, delimitano ogni partitura sia centralmente che lateralmente. Le parti laterali della facciata hanno sui due piani aperture architravate con timpani triangolari.

Il palazzo, sede del Comune fino al 1973, ha ospitato temporaneamente al piano superiore gli alunni delle scuole elementari. Oggi (2008), al piano terra si trovano gli uffici postali ed alcuni uffici comunali mentre l'intero primo piano è occupato dagli uffici del Consorzio per la tutela dei vini della Franciacorta che ha qui la sua sede dal 1997.

Il Consorzio per la tutela del Franciacorta con il suo logo inconfondibile - una effe merlata, simbolo delle antiche torri medievali che caratterizzano il territorio - nasce il 5 marzo 1990 a Corte Franca, in provincia di Brescia, come aggregazione di un gruppo di viticoltori accomunati da passione e stimoli comuni, interessati soprattutto alla tutela, alla valorizzazione e alla promozione della vitivinicoltura franciacortina e del territorio nel suo insieme. Si tratta di un'organizzazione consortile interprofessionale, indipendente, in grado di fornire quel supporto di servizi, d'immagine, di aggregazione forte e uguale per tutti.

Al Consorzio, che dal 1993 ha sede a Erbusco aderiscono le tre categorie professionali dei viticoltori, vinificatori e imbottigliatori che sono interessati alla filiera produttiva delle denominazioni Franciacorta Docg, Curtefranca Doc e Sebino Igt.

Il palazzo Longhi sorge dove anticamente era ubicato l'Ospedale di S. Antonio, al centro dell'antica proprietà denominata "possessione di S. Antonio" di cui conserva ancora la Chiesetta intitolata al Santo, ed era parte integrante dei beni dell'Ospedale Maggiore di Brescia.

I vari passaggi di proprietà del Palazzo, non hanno di certo influito negativamente sulla struttura che si presenta in tutta la sua austera signorilità, nella semplicità dell'impianto architettonico e nella ritmicità delle sue aperture.

Il suo schema architettonico è basato su un corpo centrale e due ali laterali che si affacciano su un semplice cortile chiuso sul lato strada. Nell'ala est si apre un alto portale che immette nell'ampio parco ricco di vegetazione che domina tutta la collina di San Bernardino..

Palazzo Tiberi oggi Mingotti antica sede conventuale nel XIV -XV secolo, passa di proprietà alla famiglia nobile di Benvenuto Tiberi nel XV secolo e verrà custodita fino al 1768, anno in cui viene ceduta in eredità e da lì passa di proprietà in proprietà fino all'attuale Famiglia Mingotti.

La dimora è di indubbia importanza per lo studio dell'architettura signorile rurale, elegante nella lineare ritmicità dei suoi pieni e dei suoi vuoti, nel semplice aristocratico equilibrio fra le parti in altezza e gli interspazi del portico e della loggetta con archi trilobati, caratteristiche queste che richiamano l'architettura di Villa Montini a Mompiano.

La casa Giacobbe è ricordata dalla tradizione come antico castello, come dimostra l'austerità e l'imponenza dell'architettura esterna ancora ben visibile solo dal lato a sera fatta da un'alta muratura compatta a conci di pietra, sassi e medolo.

Il castello probabilmente è il più antico della Franciacorta. Eretto forse prima del Mille conserva solo in parte la sua struttura medioevale. Le sue antiche mura erano circondate, lungo tutto il perimetro, da un fossato profondo circa sei metri, oggi completamente interrato, e racchiudevano il borgo fortificato con la Pieve di S. Maria, abbracciata a nord da due case torre e a sud dal lungo fabbricato del castello, caratterizzato nella zona di sud-est dalla massiccia costruzione del ponte levatoio. Costruito forse dalla potente famiglia Martinengo o dallo stesso popolo per difendersi dagli Ungheri, il castello viene citato negli Statuti Bresciani del 1279, mentre nel 1312 si sa che viene ulteriormente fortificato dai Guelfi. Nel 1326 Azzone Visconti vi stabilisce un presidio. Negli anni 1426-27 passa sotto il dominio veneto, ma nel 1438 viene conquistato dal Piccinino e devastato dalle truppe dei Visconti. Riconquistato nel 1440 dai Veneziani, nel 1470 pare sia arricchito da una via sotterranea che conduceva al castello di Rovato e a quello di Coccaglio.

Nel maggio del 1509, viene occupato dai Francesi e nel 1521 dai Lanzichenecchi di Carlo V, per poi passare nuovamente sotto il dominio veneziano, nel 1529. E' probabile che all'inizio del XVIII secolo il castello venga ricostruito seguendo parzialmente lo schema originario. Di certo si sa che nel XX secolo i locali del castello erano utilizzati come abitazioni per alcune famiglie del Borgo. Nel 1995, il parroco pro-tempore, Don Andrea Ferronato, dà inizio ad una serie di interventi di restauro e ristrutturazione portando le strutture architettoniche del castello all'aspetto odierno.

La Pieve di Santa Maria Maggiore, edificata probabilmente nel XII secolo sui resti di un più antico edificio, rappresenta un chiaro esempio di architettura romanica. La chiesa, ad unica navata, è ricoperta da un tetto a due spioventi con travi alla colma e presenta un pavimento in cotto. La navata è scandita in quattro campate, formate da tre ampi archi a sesto acuto, decorati anche nei sotto archi. Sopraelevato di due gradini, il presbiterio si apre con un elegante arco trionfale, ricoperto da bellissimi affreschi che introducono alla zona absidale, la parte più rilevante ed interessante del complesso, dove un catino decorato con affreschi del XV e XVI sec. è illuminato dall'unica luce proveniente dalle finestre strombate che "alleggeriscono" la struttura architettonica.

La chiesa di San Bernardino era parte integrante dell'antico Convento Francescano di San Bernardino, costruito dai frati Conventuali e completato, nella seconda metà del XV secolo, sotto la guida del Beato Amedeo Menez de Silva, duca di Ceuta, un frate minore che godeva di ampio prestigio, essendo stato confessore di papa Sisto IV, nonché grande amico del milanese Galeazzo Maria Sfora.

I suoi monaci alloggeranno nel Convento sino all'inizio del XIX secolo, quando saranno sloggiati dalla soppressione napoleonica. Nel 1813 il Comune acquisterà dal demanio la chiesa e il convento per trasferirvi il cimitero del paese.

Nel cortile grande del convento di San Giuseppe a Brescia (probabile opera di Antonio Gandini) c'è un affresco che riproduce il convento visto dall'alto e la chiesa ci appare con la stessa struttura di oggi. In calce al dipinto vi è scritto: "L'anno 1466 il beato P. Amedeo fabricò un monastero sopra una colina di Herbusco qual dedicò al P. S. Bernardino di Siena".

Degni di nota sono la facciata, impreziosita dall'antico portico quattrocentesco, costituito da tre archi a pieno centro e sostenuti da quattro colonne in pietra di Sarnico con capitello a foglie grasse e i numerosi affreschi.

La chiesa di San Giorgio si presenta come il risultato di continue trasformazioni ed ampliamenti; la primitiva cappella porta la data 1567, una serie di trasformazioni la portano ad essere quello che vediamo ad oggi.

Valorizzata dall'ampio ed aperto piazzale, la facciata si sviluppa su due ordini, divisi in tre parti segnati da lesene ravvicinati in coppia, in muratura, con capitelli ionici nell'ordine inferiore e corinzi in quello superiore realizzati in marmo di Rezzato, sempre in marmo anche lo zoccolo su cui si imposta l'intera struttura, la cornice del portale d'ingresso e delle lunette semicircolari ai lati. I due ordini della facciata sono collegati da semplici volute in muratura terminanti con due copie di grossi vasi in marmo di Rezzato. Al centro dell'edicola sopra il portale si può ammirare la tela raffigurante San Giorgio che uccide il drago (1982), opera del pittore Alessandro Albini di Pontoglio donata dal gruppo Alpini di Villa Pedergnano in sostituzione della precedente tavola del Molinari deteriorata.

Sul lato a sera del sagrato si staglia, isolata in tutta la sua imponenza, la Torre Campanaria alta 36 metri le cui origini sono al quanto nebulose.

Il concerto di campane è formato da cinque elementi di cui uno maggiore, sia per peso che per suono.

La chiesa si presenta a tre navate con cappelle laterali cupolate. Le navate sono divise da quattro archi a pieno centro poggianti su pilastri con lesene e capitelli corinzi che sorreggono l'aggettato e modanato cornicione reggente gli archi traversi utilizzati per dividere le quattro campate con volta a botte unghiata.

L'ingresso del presbiterio, sopraelevato di alcuni gradini, è incorniciato da un arco trionfale che poggia su lesene con capitelli corinzi. Pregevoli gli stucchi e i decori che rivestono sia il presbiterio che la navata.

Fondata forse sulle rovine di un antico oratorio di Pedergnano, la chiesa di San Nicola viene edificata con l'aiuto del nobile Francesco Tiberi per volere degli abitanti della frazione che si riuniscono in assemblea nella piazzetta del "Banchetto" il 5 gennaio 1631. Posta sotto l'invocazione dei Santi Carlo, Francesco e Nicola da Tolentino, come si legge nell'iscrizione sulla porta principale d'ingresso, acquista sempre più importanza tanto che nel XVIII secolo si celebrano più messe rispetto a quelle della parrocchia di San Giorgio.

La chiesetta, edificata nella piazza del Banchetto, presenta la fiancata nord addossata alla parete della casa confinante mentre la facciata, semplice ad un solo ordine, è rivolta verso sera. Il campanile appoggia all'estremità est della fiancata e presenta un'accentuata scarpata di basamento su cui si imposta il fusto che termina con una cella campanaria delimitata da cornice segmentata di spiccata proporzionalità ed eleganza. Restaurata nel 1884 e successivamente nel 1997.

La navata è ricoperta da volta a botte. Il presbiterio, sopraelevato da un gradino, presenta una volta ripartita in modo simmetrico che non contrasta con la soasa imponente di gusto seicentesco che racchiude la pala.

Sulla destra del presbiterio si apre una porticina che immette al campanile mentre sulla sinistra vi si trova la sagrestia.

La decorazione attuale della chiesa è frutto del restauro avvenuto nel 1884 e nel 1977, il pavimento in cotto è quello in marmo della parte presbiteriale sono invece originali.


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