lunedì 10 agosto 2015

LE FRAZIONI DI VALVESTINO

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Armo fu comune indipendente fino al 1928, anno in cui fu aggregato a quello di Turano. Dal censimento del 1921 risultava avere 305 abitanti.

Diverse sono le ipotesi avanzate sull'origine del nome e secondo il linguista Carlo Battisti che studiò il dialetto della Val Vestino e di Armo agli inizi del XX secolo, il toponimo del villaggio è di probabile origine retica, analogamente a quello di Dermulo, un antico comune della Val di Non oggi frazione di Taio, che nel 1218, era chiamato "Armulo" mentre per lo storico Luigi Dalrì la voce deriverebbe da un antico idioma tedesco e sarebbe riconducibile al dominio longobardo con il significato di ala dell'esercito.

Altri ricercatori invece sostengono che il nome Armo derivi dalla parola prelatina "barma" che indica una sommità rocciosa o una grotta, ovvero ipotizzano una derivazione dal nome personale celtico "Aramo" o dal germanico "Armo" col significato quindi di "terreno di Aramo o Armo", così come è stato ipotizzato per il borgo di Armo in provincia di Imperia, per Armarolo una località di Godiasco in provincia di Pavia o per la frazione di Armio di Veddasca in provincia di Varese. Un'ultima ipotesi si rifà alla parola latina "armentum" col significato di "luogo ove salgono gli armenti" al pascolo.

Il ritrovamento di tombe definite "etrusche" alla fine del XIX secolo, i cui materiali sono in seguito andati dispersi, ha permesso di ipotizzare una origine retico-etrusca per l'insediamento.

Il paese di Armo, come gli altri paesi della Valvestino ha una forma compatta, in cui i percorsi destinati all'uso pubblico non si distinguono nettamente da quelli che, fra casa e casa, gli abitanti usavano non solo come vie di transito ma anche come spazio per alcuni lavori domestici. I principali fra questi percorsi, lungo i quali si distinguono i fabbricati, seguono le linee di livello del terreno e sono spesso collegati da ripide viottole, che a volte alcuni gradini permettono di risalire più agevolmente. La morfologia del terreno influenza sensibilmente anche la struttura delle abitazioni, la cui tipologia è in molti casi quella della casa a pendìo, dotata di un accesso a valle, per la stalla, e di un altro a monte per il fienile e l'abitazione. Rampe di scale esterne mettono in comunicazione il piano seminterrato con quello superiore, ma il collegamento e a volte reso possibile anche da passaggi, spesso voltati (e perciò detto "involt"), che si aprono nella facciata della casa e sveltiscono la comunicazione la comunicazione fra i due livelli.
Fra le case dei paesi di montagna si distinguono quelle che riuniscono in un solo edificio gli spazi di abitazione e quelli riservati agli animali e al lavoro. Un esempio di questa organizzazione è data dal "Vaticano", così detto perché abitato un tempo da parecchie famiglie. Al piano terra, una volta si trovava anche un forno per il pane, si trovava la stalla e lo spazio destinato alla casera e alla cantina; al primo piano la cucina, al secondo le camere e nel sottotetto il fienile. Mentre la stalla rappresentava un luogo di uso comune, anche per trascorrere le lunghe serate invernali, gli spazi di abitazione erano suddivisi fra le famiglie secondo una linea verticale, in modo da creare lotti speculari.

La chiesa parrocchiale è dedicata al culto dei santi Simone e Giuda che si festeggiano il 28 ottobre. La chiesa è stata rimaneggiata più volte e il presbiterio, che è la parte più antica dell'edificio, reca sull'avvolto la data del 1117. Fu consacrata da monsignor Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, principe vescovo di Trento, il 12 agosto del 1837.

Bollone deriverebbe, per alcuni, da una parola di origine celtica non più decifrabile mentre per altri dal celtico "beola", betulla, con riferimento agli alberi di tale specie che ancora al giorno d'oggi sono presenti in parte sul suo territorio o da "bou-", "bouo-" che significa vacca, bue. Un'altra interpretazione fa invece risalire il toponimo al termine di derivazione latina "bula", pozza d'acqua, con riferimento ad una sorgente risorgiva.

Secondo Natale Bottazzi l'origine del toponimo è altresì da ricercarsi in un gentilizio barbarico, il che significherebbe "terreno di Bollone" dal nome dell'antico proprietario. Il suffisso che in origine era anus ovvero acus si è ridotto alla vocale u. Sempre per lo stesso autore, deriverebbe dal medesimo nome o da nome simile a quello che diede origine a Bollone i villaggi di Bogliaco a Gargnano, Bolano a La Spezia, Bollate a Milano, Bollengo a Torino e infine Pollone un comune a 622 m di altezza in provincia di Biella.

Un'ultima ipotesi, avanzata pure per il toponimo del comune di Vobarno, rimanda alla radice celtica "Bö" "By", nel senso di legno o capanna, col significato quindi di riparo in legno. Nel 1240 l'abitato è attestato come "Bolono".

Bollone trova la sua origine probabilmente in epoca pre-romana come piccolo insediamento di popolazioni “reto-celtiche”: Stoni o Galli Cenomani.

Fu comune indipendente fino al 1928, anno in cui fu aggregato a quello di Turano. Dal censimento del 1921 risultava avere 235 abitanti ed era amministrato da un podestà.

Il centro è nominato per la prima volta in un documento del 1186 ed è il paese natale di Bonifacino, ghibellino e vassallo dell'imperatore, che nel XIII secolo fortificò l'abitato minacciato dalle incursioni dei guelfi bresciani.

Situato sul confine meridionale della Val Vestino, Bollone nei secoli passati, vista la sua posizione strategica tra il Principato vescovile di Trento e la Repubblica di Venezia, fu luogo di passaggio di banditi e truppe. Nell'ottobre del 1754 il bandito Giovanni Maria Ceschi detto Schiopettino di Vestone e la sua banda assaliva l'abitato imponendo con violenza e insulti la consegna da parte dei "Giurati" del Comune di 2.738 tron e di tre mule per il trasporto della refurtiva. Nell'aprile del 1796 a seguito della guerra della Prima coalizione, il villaggio fu presidiato da reparti austriaci della Brigata del generale austriaco Josef Philipp Vukassovich che avevano il compito di collegamento e supporto degli avamposti istituiti nella Riviera di Salò a Gardola e alla Costa per controllare i movimenti delle truppe rivoluzionarie francesi.

Cinquant'anni circa dopo, il 7 luglio 1866, durante la terza guerra di indipendenza, Giuseppe Garibaldi dal quartier generale della Rocca d'Anfo ordinava a Enrico Guastalla di "far vedere la camicia rossa" a Bollone, Moerna e a Magasa per mezzo della 9ª compagnia del 2º Reggimento Volontari Italiani.

Bollone fino alla metà del secolo scorso era noto per la professionalità dei suoi carbonai che operarono sia in Italia che all'estero.

Bollone, terra di confine tra il Regno d'Italia e l'Impero d'Austria, nel 1800 fu un crocevia strategico per il contrabbando di merci tra il territorio della Riviera di Salò e il Trentino attraverso la Val Vestino. Lo storico toscolanese Claudio Fossati (1838-1895) scriveva nel 1894 che il contrabbando dei valvestinesi era l'unico stimolo a violare le leggi in quanto era fomentato dalle ingiuste tariffe doganali, dai facili guadagni e dalla povertà degli abitanti.

Donato Fossati (1870-1949) raccolse la testimonianza di Giacomo Zucchelli detto "Astrologo" di Gaino, un ex milite della Regia Guardia di Finanza, in servizio nella zona di confine tra il finire dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, il quale affermava che "i contrabbandieri due volte la settimana in poche ore, sorpassata la montagna di Vesta allora linea di confine coll'Austria e calati a Bollone, ritornavano carichi di tabacco, di zucchero e specialmente di alcool, che rivendevano ai produttori d'acqua di cedro specialmente".

La chiesa di San Michele arcangelo fu riedificata nel 1875 e possiede oggetti di valore artistico. Fu riconsacrata il 14 agosto 1960 dal vescovo ausiliare di Trento mons. Oreste Rauzi. Dal 1863 al 1870 fu curato di Bollone don Pietro Porta.

Moerna fu comune indipendente fino al 1931, anno in cui fu aggregato a Valvestino. Dal censimento del 1921 risultava avere 250 abitanti.

La frazione è il luogo natale di don Pietro Porta, botanico, a cui è dedicato il locale Museo botanico; il paesino inoltre da il nome ad una delle prove speciali del famoso Rally 1000 Miglia, che da ormai 40 anni si disputa tra marzo ed aprile sulle strade delle prealpi bresciane.

L'etimologia è ignota e secondo Natale Bottazzi la terminazione in -erna è uguale a quella dell'antico nome del vicino comune di Vobarno che al tempo dei romani, nel I secolo a.C., era chiamato "Voberna" o a quella del comune svizzero di Balerna. Secondo i ricercatori il suffisso -erna è piuttosto comune nei luoghi e nelle parole di derivazione etrusca e nel linguaggio celtico verna, verno, sberna indicava la pianta dell'ontano, arbusto che notoriamente predilige vegetare in zone umide, come ad indicare un luogo boscoso di quella specie. Sull'origine etrusca della desinenza -erna concorda anche il linguista Carlo Battisti.

Per altri il toponimo deriverebbe da Moierna, una imprecisata divinità retico-etrusca o dal latino mollis o molliana che significa terreno umido ad indicare la tipologia dell'ambiente in cui sorge la località. Quest'ultima tesi potrebbe essere sostenuta dal fatto che a un centinaio di metri a nord dell'abitato vi è una zona acquitrinosa chiamata Paù.

Moerna trova la sua origine probabilmente in epoca pre-romana come piccolo insediamento di popolazioni “reto-celtiche”: Stoni o Galli Cenomani.

Il 7 luglio 1866, durante la terza guerra di indipendenza, Giuseppe Garibaldi dal quartier generale della Rocca d'Anfo ordinava a Enrico Guastalla di "far vedere la camicia rossa" a Bollone, Moerna e a Magasa per mezzo della 9ª Compagnia del 2º Reggimento Volontari Italiani mentre Giuseppe Avezzana, generale comandante del settore del lago di Garda, stabilì un magazzino di viveri e munizioni a Gargnano per rifornire i garibaldini dei distaccamenti operanti a Moerna, Magasa, Tignale, Tremosine e sul monte Nota.

Il 25 maggio 1915, con lo scoppio della prima guerra mondiale, Moerna fu occupata dalla fanteria del Regio Esercito italiano e al seguito della truppa vi era il noto scrittore Mario Mariani, corrispondente di guerra del quotidiano Il Secolo che scriveva: "Quando il sole era già alto la batteria raggiungeva la frontiera. I pali austriaci erano già stati rovesciati. Un bersagliere ciclista che tornana d'oltre confine gridava passando e pedalando a rotta di collo per salite ripide e voltate al ginocchio: "Il mio plotone è a Moerna, gli austriaci scappano". La colonna rispondeva: "Viva l'Italia!". Nel dicembre 1916 vi transitò, proveniente da Capovalle, anche il re Vittorio Emanuele III in ispezione alle linee fortificate della Val Vestino.

La chiesa di San Bartolomeo fu consacrata il 30 agosto 1867 dal principe vescovo di Trento Benedetto Riccabona. Fu restaurata nel 1907 e decorata nel 1947 dai pittori trentini Bruno Colorio e Marco Bertoldi. Poco distante dall'abitato sorge sull'omino colle l'oratorio di San Rocco che fu edificato prima del 1750, ampliato tra il 1902 e il 1907 e visitato da Cesare Battisti e dall'arciduca Eugenio Ferdinando Pio d'Asburgo-Teschen nel maggio del 1910.

Persone fu comune indipendente fino al 1928, anno in cui fu aggregato a quello di Turano. Dal censimento del 1921 risultava avere 95 abitanti, mentre all'inizio del Ventunesimo secolo vi abitano stabilmente le 40 e le 50 persone.

Il toponimo deriverebbe per alcuni da una parola di origine celtica non più decifrabile mentre per il noto linguista Carlo Battisti il toponimo è da ricercarsi invece nella radice prelatina "bars" che significa altura, quindi si indicava un villaggio costruito su un'altura, e in seguito sulla radice "bars" si sarebbe sovrapposto la parola latina medioevale "bersa" che indicava un recinto o una siepe di selva per rinchiudervi di notte gli animali. Uguale è il toponimo del comune trentino di Bersone.

Persone trova la sua origine probabilmente in epoca pre-romana come piccolo insediamento di popolazioni “reto-celtiche”: Stoni o Galli Cenomani.

Fu dal 1100 circa al 1826 comune della Contea di Lodrone, territorio soggetto alla podestà della nobile famiglia dei conti Lodron, feudatari dei principi-vescovi di Trento.

La zona è conosciuta per la ricchezza della sua flora e il 5 luglio 1853 il botanico bavarese Friedrich Leybold rinvenne su uno spuntone dolomitico una rara Scabiosa Vestina.

È il luogo ove si condussero tra il 25 giugno e il 10 agosto 1866 le operazioni in Valvestino, della terza guerra di indipendenza tra le forze garibaldine e austriache.

Sorta in una vallecola, dal 1861 al 1918 qui vi passava il confine tra Regno d'Italia e Austria Ungheria, dopo che per secoli era stato il punto di confine tra Repubblica di Venezia, a cui fu sempre fedele e Contea principesca del Tirolo, dopo la parentesi napoleonica fu confine tra il Lombardo Veneto e l'Impero d'Austria.

Nel dicembre 1916, nel corso della prima guerra mondiale, vi transitò proveniente da Capovalle il re Vittorio Emanuele III di ispezione alle linee fortificate della Val Vestino.

Il piccolo nucleo abitato di Persone presenta, come gli altri paesi della valle, una forma compatta: l'assenza di case sparse lo distingue nettamente dal territorio che lo attornia, meno ripido dell'area su cui sorgono le case e quindi riservato al pascolo e al coltivo. Di questo restano piccoli appezzamenti ancora curati e tracce di terrazzamenti, ultimi segni di un'economia di sussistenza. Da Persone si stacca l'antica mulattiera che attraverso la Bocca di Val portava alla Valle del Chiese. Veniva utilizzata per la transumanza dei capi di bestiame (diretti a Storo e Bagolino) e percorsa dal postino e dai messi comunali che scendevano fino a Storo e risalendo portavano la posta e le ultime notizie. La sua importanza ben evidenziata da una carta del 1883, che ne tratteggia il percorso fino a Bondone. Nei periodi di guerra questa mulattiera fu utilizzata dagli eserciti che dovevano scendere verso Brescia evitando la sponda occidentale del lago d'Idro, dominata dalla temibile Rocca d'Anfo.

La  data di edificazione della chiesa di San Matteo è incerta. Le quattro campane, fuse a Trento, furono collocate sulla torre nel 1909 e fu ridipinta nel 1951. La curazia di Persone fu istituita il 7 febbraio 1729.

Turano è il capoluogo comunale, sede del municipio e il comune ebbe nome Turano fino a quando nel 1931 cambiò il nome con l'attuale.

Diverse le ipotesi avanzate sull'origine del nome e secondo alcuni storici il toponimo deriverebbe da Turan, tradotto in "la Signora", la divinità etrusca dell'amore e della fertilità mentre per altri è di epoca romana riconducibile alle parole latine "Tres amnes" (tre fiumi), data la confluenza dei tre torrenti che scorrono ai suoi piedi, il Magasino, il Personcino e l'Armarolo o dal gentilizio latino "Tur(r)ius" o "Turus" col suffisso aggettivale -anus che indica una proprietà fondiaria o ancora da "Turris amnis" che significa letteralmente "torre del fiume". Quest'ultima ipotesi, è suffragata anche da un'antica tradizione popolare locale, trascritta anche da Claudio Fossati (1838-1895) in una pubblicazione del 1894 e dal figlio Donato nel 1931, che ha sempre indicato sul Dosso di Turano la presenza di ruderi di una torre fortificata di origine romana che dominava appunto la Valle e i cui materiali furono usati nel 1240 dal ghibellino Bonifacino da Bollone per edificare, sempre nello stesso luogo, un fortilizio e nei primi anni del 1900 per l'erezione della casa Andreoli, oggi ex ufficio postale.

Due ultime ipotesi sono avanzate da Carlo Battisti, secondo il quale l'origine è invece da ricercarsi in un gentilizio barbarico, col significato quindi di "terreno di Turano", poiché "il suffisso -anum permette di pensare con una certa probabilità a un fundus appartenente ad un indigeno romanizzato" e da Lino Franceschini per il quale il toponimo Turano conservando l'etimo di base indoeuropeo di "tir" (che corrisponde a "terra" in latino), un riferimento alla sfera della proprietà terriera, sarebbe una variante, come Tirano, Tirolo (località a sud del lago di Garda e del comune di Bolano, in provincia della Spezia), Terlago e Terento, del termine lituano "tyrulia" (vasto e profondo pantano) e del lettone "tirelis", "tirulis" (zona ricca di pantani e acquitrinosa) da cui prende il nome Tyrole, un vasto territorio acquitrinoso in Curlandia, regione della Lettonia.

Il toponimo di Turano è attestato per la prima volta il 15 novembre 928, quando Nokterio, vescovo di Verona, cedeva, con testamento, la giurisdizione e la proprietà della chiesa di santa Maria "de Turano", unitamente ad altre trentine di Bondo, Breguzzo e Bolbeno, al Capitolo stesso.

Turano trova la sua origine probabilmente in epoca pre-romana come piccolo insediamento di popolazioni “reto-celtiche”: Stoni o Galli Cenomani.

Nella frazione si trova la pieve di San Giovanni Battista, le cui prime notizie risalgono al 928. Secondo una tradizione locale trascritta dallo storico padre Cipriano Gnesotti, frate cappuccino di Storo, nel 1166 vi sostò, esule da Roma, papa Alessandro III che concesse alla popolazione della Val Vestino l'indulgenza plenaria del "Perdono" nell'ultima domenica di agosto.

La Val Vestino non fu immune al fenomeno del terrorismo politico che negli anni settanta imperversò in Italia. Nel 1979, nel corso di un'operazione di polizia, fu scoperto a Turano un covo dell'organizzazione Prima Linea che portò all'arresto di quattro esponenti e al sequestro di esplosivo e materiale documentario.

Il ruolo di capoluogo svolto da Turano è testimoniato anche dalla presenza, nel piccolo paese, di due chiese. Quella più antica, esistente già prima dell'anno 1000, è dedicata a San Giovanni Battista. A lungo affiliata alla Parrocchia di S. Maria di Tignale, divenne in seguito Pieve della Valle e tra il 1570 e il 1585 venne riedificata. La leggenda vuole che in questa chiesa abbia celebrato la messa, nel 1186, Papa Alessandro III, inseguito da Federico Barbarossa. Il Pontefice avrebbe in tale occasione concesso l'indulgenza del "Perdono", ai tempi assai rara. Per la penultima domenica di agosto, giorno nel quale ancor oggi si ricorda l'avvenimento con una festa che riunisce tutti gli abitanti. L'altra chiesa, eretta fra il 1580 e il 1599, è dedicata a San Rocco e sorge su un dosso ai limiti del paese denominato "castello" per la sua posizione strategica che, secondo un'altra leggenda avrebbe portato nel XIII secolo alla costruzione di una fortezza in difesa della valle. Al di là della loro valenza storica, evidente è il valore simbolico di questi edifici religiosi: la chiesa ed il cimitero, ad essa strettamente collegato, concludono i percorsi che attraversano il villaggio, come a rappresentare il passaggio della vita terrena alla redenzione.



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