giovedì 1 ottobre 2015

LGBT

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Il termine transgender ha assunto nella lingua italiana diversi significati a seconda degli ambiti in cui è usato.

La sua origine è da identificarsi all'interno del movimento LGBT, nato negli Stati Uniti d'America intorno ai primi anni ottanta, per indicare un movimento politico che contesta la logica eterosessista e genderista secondo la quale i sessi dell'essere umano sono solo due, che l'identità di genere di una persona debba necessariamente combaciare con il sesso biologico e che il tutto debba restare immodificabile dagli esseri umani.

Il termine "transgender", quindi, nasce come termine ombrello dentro cui si possono identificare tutte le persone che non si sentono racchiuse dentro lo "stereotipo di genere" normalmente identificato come "maschile" e "femminile".

Il transgenderismo sostiene che l'identità di genere di una persona non è una realtà duale "maschio/femmina", ma un continuum di identità ai cui estremi vi sono i concetti di "maschio" e "femmina".

In questo senso il transgenderismo è da considerarsi come un movimento politico/culturale che propone una visione dei sessi e dei generi fluida e che rivendica il diritto di ogni persona di situarsi in qualsiasi posizione intermedia fra gli estremi "maschio/femmina" stereotipati senza per questo dover subire stigma sociale o discriminazione.

Da questo punto di vista sotto il termine "ombrello" di "transgender" possono identificarsi:

la persona transessuale operata (che ha raggiunto a tutti gli effetti e in tutto e per tutto il genere sentito proprio).
la persona transessuale non operata o parzialmente operata (che ha lasciato integri i genitali di origine ma ha effettuato altri interventi di modifica fisica o estetica).
la persona genderqueer (femmina genetica o maschio genetico di qualsiasi orientamento sessuale) che non si riconosce nel binarismo/dicotomia uomo/donna, rifiutando così lo stereotipo di genere che la società e la cultura locale impone ai due sessi. In questo senso e in questa accezione del termine, che però è la meno conosciuta in Italia, alcuni ritengono che transgender e "queer" siano due termini-ombrello fra loro sovrapponibili.
la persona crossdresser, termine che tende a sostituirsi sempre più alla dicitura "travestito" perché associato, quest'ultimo, alla parafilia. In questo senso il crossdresser è una persona che si traveste, in privato e/o pubblicamente, senza implicazioni di eccitazione sessuale, per esprimere la propria identità di genere e/o il proprio ruolo di genere interiore; il crossdressing può essere praticato sia da una donna che da un uomo, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale.



Nel tempo e nella trasposizione del termine nella cultura italiana la parola transgender ha assunto diversi ed altri significati che poco hanno a che vedere con l'origine del termine inteso come "movimento politico culturale". Questa seconda accezione è ormai diventata più popolare di quella originale.

La traduzione italiana di transgender sarebbe transgenere, ma questo termine non si è radicato nell'uso comune e quindi un termine "importato" dall'inglese e lasciato in prevalenza immutato.

Nella terminologia psicologica, psichiatrica, endocrinologica e legale il termine "transgender" viene utilizzato in termini semplificativi per indicare una persona transessuale non operata ai genitali. Secondo questa accezione del termine quindi transgender diventa un termine per indicare solamente una sottocategoria delle persone transessuali, e per separare il/la transessuale operato/a (ai genitali) da quello/a non operato/a.
Così come per il transessualismo anche per il termine "transgender" vi è una totale e netta differenziazione sulla declinazione al maschile o al femminile fra mondo accademico e movimento transgender/transessuale.
Analogamente al transessualismo, i testi medici e legali declinano (salvo rarissime eccezioni) il termine al maschile per le persone che effettuano una transizione da maschio a femmina (androginoide) e al femminile per le persone che effettuano una transizione da femmina a maschio (ginoandroide).
Dando così la prevalenza alla genetica rispetto all'identità di genere della persona.
Tale utilizzo della declinazione è fortemente contestato dal movimento transgender e transessuale (e dal movimento GLBTQ) in quanto ritiene che sia da far prevalere l'identità di genere della persona sul mero dato biologico di nascita.
Semplificando: la persona nata maschio che assume l'identità femminile e di conseguenza anche un nome femminile (poniamo ad esempio "Anna") per la cultura scientifica è "il" transgender Anna, per il movimento è invece "la" transgender Anna.

L'utilizzo accademico della coniugazione del termine peraltro spesso fatto proprio dal giornalismo e dai media ha la controindicazione di determinare veri e propri "salti mortali" nella lingua italiana. Esemplificando: "IL" transgender Anna è andato o è andata a fare la spesa"? Il nome Anna si coniuga in genere al femminile, ma per una persona transessuale o transgender lo si coniuga al maschile con ciò determinando una sorta di discrimine fra la "Anna" donna genetica e la "Anna" transessuale o transgender.
Ed è proprio per questo fatto che la declinazione utilizzata dal mondo accademico viene contestata dal movimento transgender e transessuale in tutto il mondo ed anche in Italia.

Una terza accezione del termine "transgender" è quella che sostituisce il termine "transessuale", sovrapponendosi ad esso.
La ragione, anch'essa nata all'interno del movimento LGBT o GLBT è da trovarsi nel fatto che il termine "transessuale" è di per sé impreciso, se non errato dal punto di vista clinico. In realtà qualsiasi persona operi una transizione sessuale, agisce sul "gender", sul genere sessuale e non sul sesso che, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è e resta immutabile.
Quindi transgender può anche essere usato al posto di transessuale, peraltro cancellando la dicotomia fra "operati" e non operati che poco interessa il "gender" ma molto invece interessa il "sesso" di una persona.



Un uomo su 40 mila e una donna su 150 mila soffrono di un disturbo dell’identità di genere. In Italia si fanno all’anno 24 interventi per diventare femmina e 7 per diventare maschio.

Le cause oltre a quelle psicologiche, ambientali e familiari, i nuovi studi sostengono che vi sia una anomala azione degli ormoni materni durante la gravidanza. Analizzando cervelli di transessuali con la risonanza magnetica è stato osservato che queste persone presentano strutture più simili a quelle del genere psicologico rispetto a quelle del sesso fisico. Rispetto al passato si esce maggiormente allo scoperto, perché si è appoggiati dalla legge e da specialisti competenti che lavorano in centri di riferimento pubblici. In Italia nel 1982 la legge ha approvato gli interventi per il cambio di genere sessuale.

Chi decide di cambiare sesso, deve seguire un percorso delineato dalle linee guida dell’Onig (osservatorio nazionale sull’identità di genere). Per sei mesi rimane in osservazione con colloqui psicologici e indagini ormonali, cui segue un periodo di “test di vita reale” e somministrazione di ormoni. A quel punto medici e psicologi, consegnano le relazioni al tribunale di residenza, che può avvalersi di un consulente (Ctu). Una sentenza consentirà l’intervento di rassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali e l’adeguamento dei dati anagrafici.

La trasformazione dei genitali esterni maschili in caratteri femminili comporta un periodo demolitivo (asportazione dei testicoli e del pene) e uno ricostruttivo (creazione di una vagina e di genitali esterni simili a quelli femminili).
La cute scrotale viene usata per la creazione delle grandi labbra e negli ultimi anni è stata studiata una tecnica che permette di ricostruire il clitoride, collocandolo nella sede naturale. Sotto al clitoride viene sistemata l’uretra e sotto ancora la neovagina che però non ha una lubrificazione autonoma.
Per quanto riguarda il seno molti decidono di farlo sviluppare con la terapia ormonale, anziché ricorrere alla chirurgia.

La trasformazione da donna a uomo è molto più complicata e prevede vari tempi operatori.
La prima fase consiste nella riduzione mammaria (prima ormonale e poi chirurgica per dare l’aspetto di un torace maschile). Poi segue l’Istero–annessectomia con un unico intervento chirurgico di asportazione di utero e ovaie. La vagina, in genere, non viene rimossa perché tende a ridursi spontaneamente e, se richiesto, può essere asportata successivamente. A questo punto è necessaria la falloplastica (un intervento opzionale che non tutte le persone con Disturbo dell'Identità di Genere vogliono effettuare).
Esistono diversi metodi chirurgici a seconda di ciò che si vuole ottenere:
realizzazione di un organo di forma cilindrica simile al pene per una funzione estetica;
costruzione di neouretra che permetta la fuoriuscita dell’urina all’apice dell’organo costruito per una funzione urinaria;
inserimento nel fallo di una protesi del tipo di quelle usate per l’impotenza con possibilità di rendere rigido l’organo costruito e idoneo a rapporti sessuali con penetrazione per una funzione sessuale.



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