venerdì 14 ottobre 2016

OBIETTORI DI COSCIENZA

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L'obiezione di coscienza in Italia fa riferimento ad alcuni istituti giuridici volti a regolare l'esercizio dell'obiezione di coscienza.

Fino alla promulgazione di una legge che regolamentasse la fattispecie, l'obiezione di coscienza in Italia fu sempre trattata alla stessa stregua della renitenza alla leva (mancata presentazione al distretto militare per le visite di leva, o alla destinazione assegnata per lo svolgimento del servizio), oppure alla diserzione (rifiuto di proseguire il servizio di leva dopo averlo intrapreso).

Il primo obiettore italiano ufficialmente documentato fu Remigio Cuminetti, un Testimone di Geova che, nel 1916, in piena Grande Guerra, finì sotto processo per diserzione a causa del suo rifiuto di indossare l'uniforme. Nel 1940, ancora vigente il regime fascista, 26 Testimoni di Geova furono processati e condannati perché rifiutarono l'obbligo militare.

Nel secondo dopoguerra, spiccano anche i casi di Rodrigo Castello, di Pietrelcina (BN), cristiano pentecostale condannato dal Tribunale militare e successivamente tornato in libertà a seguito di amnistia, e di Enrico Ceroni, altro Testimone di Geova che, dopo perizia psichiatrica, fu condannato a 5 mesi e 20 giorni di reclusione con il beneficio della condizionale. Tra il 1946 e il 1959 ci furono 179 giovani tra i Testimoni di Geova che rifiutarono di indossare la divisa militare. Il primo processo penale di notevole risonanza fu quello a Pietro Pinna, svoltosi nel 1949. Pietro Pinna, che si appellava semplicemente ai principi della non violenza, fu condannato a 10 mesi di reclusione con il beneficio della condizionale. La notorietà che assunse il caso Pinna portò alla prima presentazione del progetto di legge relativo al riconoscimento dell'obiezione di coscienza (onorevole Colosso, Deputato del PSI, e onorevole Iginio Giordani, Deputato della DC) e permise l'avvio di un dibattito ventennale - non privo di asprezze, polemiche e accuse di viltà, scarso patriottismo e alto tradimento - sull'obiezione di coscienza, che sfociò con la legge summenzionata.

Il 1950 vede il processo di Eveloine Santi, obiettore di fede valdese. Negli anni sessanta si terranno poi i processi agli obiettori cattolici, Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini. A questo si aggiunsero le forti prese di posizione in favore dell'obiezione di coscienza da parte di padre Ernesto Balducci e di don Lorenzo Milani che trattò l'argomento nella sua opera L'Obbedienza non è più una virtù subendo anche un processo.

Su proposta del Sen. Anderlini nel 1970 viene presentata in Parlamento, insieme ai colleghi democristiani Giovanni Marcora e Carlo Fracanzani, una proposta di legge per legalizzare l'obiezione di coscienza. La proposta viene approvata dal Parlamento due anni dopo, con l'istituzione del servizio civile obbligatorio per chi rifiuta di prestare il servizio militare.

La prima norma nell'ordinamento italiano a disciplinare l'obiezione di coscienza fu la legge 15 dicembre 1972 n. 772 (la cosiddetta Legge Marcora dal nome del suo relatore) seguita dal relativo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 28 novembre 1977 n. 1139 ("Norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza").
Tale legge permise agli obiettori di scegliere il servizio civile sostitutivo obbligatorio, di durata di 8 mesi superiore alla durata del servizio che si sarebbe dovuto svolgere (all'epoca 15 mesi per l'esercito, ridottisi successivamente a 12 ed infine a 10 nel 1997, 22 per la Marina Militare, ridottisi poi a 18). Tale periodo aggiuntivo fu ritenuto, in tempi più recenti, incostituzionale (sentenza 470 del 1989). È stato abolito quindi il comma 1 dell'art. 5 della legge che prevedeva una durata di 8 mesi oltre alla durata del servizio militare.

Per protestare contro una legge giudicata non equa, nel gennaio del 1973 venne fondata la Lega degli obiettori di coscienza (LOC) per iniziativa del Partito Radicale, di Pietro Pinna divenuto fondatore con Aldo Capitini del Movimento Nonviolento, del Senatore Luigi Anderlini e del valdese Giorgio Peyrot, esponente del gruppo cristiano Movimento Internazionale di Riconciliazione (MIR).

La durata superiore del servizio civile sostitutivo di quello armato fu dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 470 del 1989 che considerava la maggior durata del servizio alternativo a quello armato una:
« sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona, nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad un'ingiustificata valutazione deteriore delle due forme di servizio alternativo a quello armato. »
Una disciplina organica della materia però si ebbe solo con la legge 8 luglio 1998 n. 230 che, abrogando la precedente legge n. 772/1972, e riconobbe compiutamente per la prima volta il diritto all'obiezione di coscienza, configurando la stessa non più come un beneficio concesso dallo Stato, bensì come un diritto della persona.

Con la sospensione delle chiamate al servizio militare di leva in Italia ad opera della legge 23 agosto 2004 n. 226 (a partire dal 1º gennaio 2005), risultò sospesa di fatto anche l'opzione del servizio civile obbligatorio per obiezione di coscienza.

L'essere obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio comportava tuttavia alcune conseguenze sullo stato giuridico, come conseguenza l'irrinunciabilità di tale status e l'impossibilità, vita natural durante, di ottenere il porto d'armi e di essere reclutato nelle forze armate italiane e nelle altre forze di polizia italiane (es. polizia municipale). Tali limitazioni permasero tuttavia con la riforma del 1998, benché altre disposizioni che potessero essere ritenute discriminatorie siano state comunque eliminate da tale legge. Inoltre, l'essersi dichiarati obiettori poteva rendere molto difficile lavorare nel campo dell'industria della difesa.



L'emanazione della legge 2 agosto 2007 n. 130 ha reso tuttavia possibile esercitare la rinuncia allo stato di obiettore: infatti la norma ha modificato la legge del 1998, stabilendo che l'obiettore ammesso al servizio civile, decorsi almeno cinque anni dalla data in cui è stato collocato in congedo secondo le norme previste per il servizio di leva, possa rinunziare allo status di obiettore di coscienza presentando apposita dichiarazione, non revocabile, da inoltrare all'Ufficio nazionale per il servizio civile, facendo così venire meno le limitazioni residue di cui alla legge n. 230/1998 e ponendo fine in modo effettivo a talune discriminazioni cui obiettivamente andavano incontro i cittadini, che avessero scelto di prestare il servizio civile in luogo di quello di leva. Il d.lgs 5 marzo 2010 n. 66 (Codice dell'arruolamento militare) dispone che agli obiettori di coscienza che sono stati ammessi a prestare servizio civile è vietato partecipare ai concorsi per qualsiasi impiego (pubblico o privato) che comporti l'uso delle armi e comunque partecipare a qualsiasi procedura per l'arruolamento nelle forze armate italiane e nelle forze di polizia italiane ad ordinamento militare o per l'assunzione nelle Forze di polizia a ordinamento civile, facendo però salva la possibilità di rinuncia allo status di obiettore.

La legge 12 ottobre 1993, n. 413 in materia di Norme sull'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale riconosce il diritto all'obiezione di coscienza nei confronti della sperimentazione animale.

Qualsiasi ente che svolga sperimentazione animale deve obbligatoriamente rendere noto agli operatori la possibilità dell'obiezione di coscienza e tale scelta non deve avere in alcun modo conseguenze sfavorevoli.

L'obiezione di coscienza per i professionisti sanitari è prevista per l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG): introdotta in Italia dalla legge 22 maggio 1978 n. 194. Il medico può esercitare l'obiezione in qualsiasi momento della sua pratica, ma nel caso in cui partecipi attivamente ad una procedura di IVG (anche soltanto consigliando dove eseguirla) lo stato di obiettore decade irrevocabilmente comportando l'impossibilità per il medico di esercitare nuovamente l'obiezione.

Lo status di obiettore non esonera il professionista sanitario dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento. Il SSN è tenuto a assicurare che l'IVG si possa svolgere nelle varie strutture ospedaliere deputate a ciò, e quindi qualora il personale assunto sia costituito interamente da obiettori dovrà supplire a tale carenza in modo da poter assicurare il servizio, ad es. tramite trasferimenti di personale.

Il professionista sanitario, anche se obiettore, non può invocare l'obiezione di coscienza qualora l'intervento sia indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo (esempio: donna che giunge presso il pronto soccorso ospedaliero con grave emorragia in atto a causa di un aborto clandestino: il medico, anche se obiettore, ha in tale situazione l'obbligo di portare a termine la procedura di aborto se questo è indispensabile per salvare la vita della donna).

Molti specialisti hanno fatto questa scelta davvero per ragioni morali. Per altri il motivo del rifiuto non ha a che fare con la coscienza ma con questioni pratiche, a volte legate alla carriera o alla reputazione.  

Capita quindi che una donna si trovi costretta a spostarsi dalla propria città per arrivare nel posto in cui la legge dello stato viene applicata regolarmente. Per le minorenni che hanno voluto nascondere la situazione ai propri genitori e hanno ottenuto un permesso dal giudice del Tribunale dei Minori l’iter sarà quindi ancora più complicato.  
  
Secondo una relazione del ministero della Salute risalente allo scorso anno, in Italia ben 7 ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici.  
  
Rispetto al 2005, quasi il 12% in più di questi medici ha sentito nella propria coscienza il bisogno di non prendere parte all’espletamento di un diritto sancito per legge. In alcune regioni poi, quasi la totalità dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza.  

Nel Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% nella PA di Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. 

Meno accentuata, ma sempre molto alta la percentuale di anestesisti obiettori che, in media, è pari al 49,3%. Anche in questo caso i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di 79,2% in Sicilia, 77,2% in Calabria, 76,7% in Molise e 71,6% nel Lazio. Mentre il personale medico obiettore raggiunge valori intorno al 46,6% con un massimo di 89,9% in Molise e 85,2% in Sicilia. 
  
In pratica su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza. Cioè solo il 65,5% del totale. 

Alcune parti del nostro paese rimangono quasi completamente scoperte. La relazione del ministero della Salute non si è spinta oltre questi freddi numeri, ritenuti dal dicastero tutto sommato accettabili.  

Ma se si vanno a spulciare i dati Istat appare subito evidente lo sforzo che viene richiesto a moltissime donne per portare avanti la loro scelta difficile: nel 2012 21mila donne su 100mila si sono rivolte a strutture di altre province. Di queste il 40% è stata costretta a cambiare addirittura regione.  

Di fatto nelle province di Isernia, Benevento, Crotone, Carbonia-Iglesias e Fermo, è praticamente impossibile abortire.  
  
In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo per legge di rendere disponibili i servizi di interruzione della gravidanza.  

In Inghilterra è obiettore solo il 10% dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Non solo. Tutti gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori.  

In Svezia il diritto all’obiezione di coscienza non esiste proprio. Gli specializzandi in ginecologia e ostetricia che pensano che l’aborto sia una cosa sbagliata vengono indirizzati verso altre specializzazioni.

Altre prassi biomediche di recente emerse all’attenzione del legislatore per le evidenti implicazioni etiche che comportano sono l’eutanasia e il suicidio assistito, la fecondazione artificiale e le manipolazioni genetiche, la sperimentazione su embrioni umani e la diagnosi prenatale con finalità eugenetica che, potendo avere come esito la morte del concepito, violano il principio del «non uccidere». Delicata è anche la posizione di medici e farmacisti di fronte alla possibilità di prescrivere e somministrare farmaci abortivi, configurandosi la fattispecie in presenza della quale si legittima il diritto di appellarsi alla ‘clausola di coscienza’, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (Corte cost., sent. 35/1997).

Per i testimoni di Geova le trasfusioni di sangue sono vietate dalle loro convinzioni religiose. In questo, ed in altri simili casi, è indiscutibile che l'obiettore si assuma la responsabilità in prima persona, senza coinvolgere altri soggetti. Tuttavia, in alcuni casi, il soggetto, se in pericolo di vita, può essere indotto a subire la trasfusione.



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