lunedì 3 ottobre 2016

UCCIDERE PER ADULTERIO

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Pare che in Italia la tendenza dell’omicidio volontario, dal 1990, abbia subito parecchi cambiamenti (primo tra tutti il calare del numero dei morti). Se, infatti, vent’anni fa erano le stragi di mafia e i regolamenti di conti tra organizzazioni criminali a fare il maggior numero di morti, oggi sembra che si muoia di più tra le mura domestiche per mano di mariti, fidanzati, partner e amanti.

A farne le spese sono le donne. Un tempo, infatti, le donne venivano assassinate con meno frequenza. Anche se ancora adesso sono gli uomini a uccidere e a morire maggiormente, le donne compaiono con una certa allarmante frequenza nelle cronache in veste di vittime.

I casi di uomini che uccidono le loro donne si contano sia tra gli italiani che tra gli immigrati.

Il motivo del contendere, il movente, pare sia sempre più o meno lo stesso: gelosia. Alcuni uomini uccidono perché convinti di essere o di essere stati traditi dalla compagna o per motivi che rientrano a pieno titolo nella voce “gelosia”, altri non sembra seguano questo copione.

La gelosia ha preso una connotazione totalmente negativa. Eppure essere gelosi della propria moglie, compagna, del proprio partner, non dovrebbe essere una cosa brutta.

La gelosia, quella buona, indica l’unicità della relazione. E, se è vero che ci sono i gelosi patologici, è anche vero che non è possibile, statisticamente parlando, che tutti gli uomini che ammazzano le donne ne soffrano.

Il possesso, invece, l’avere una donna, il possederla (non solo a letto), il controllarla, comandarla, dirigerla è tutt’altra faccenda. E pare che il problema sia proprio questo e non (solo) la gelosia (patologica). Gli uomini, quelli che uccidono (ma anche quelli che picchiano, che violentano, che umiliano), sembrano spaventati dall’eventualità di perdere l’oggetto del loro potere.

Per secoli, il "dispotismo domestico", come lo chiamava nel XIX secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, è stato giustificato nel nome della superiorità maschile. Dotate di una natura irrazionale, "uterina", e utili solo - o principalmente - alla procreazione e alla gestione della vita domestica, le donne dovevano accettare quello che gli uomini decidevano per loro (e per il loro bene) e sottomettersi al volere del pater familias. Sprovviste di autonomia morale, erano costrette ad incarnare tutta una serie di "virtù femminili" come l'obbedienza, il silenzio, la fedeltà. Caste e pure, dovevano preservarsi per il legittimo sposo. Fino alla rinuncia definitiva. Al disinteresse, in sostanza, per il proprio destino. A meno di non accettare la messa al bando dalla società. Essere considerate delle donne di malaffare. E, in casi estremi, subire la morte come punizione.

Le battaglie femministe del secolo scorso avrebbero dovuto far uscire le donne da questa terribile impasse e sbriciolare definitivamente la divisione tra "donne per bene" e "donne di malaffare". In nome della parità uomo/donna, le donne hanno lottato duramente per rivendicare la possibilità di essere al tempo stesso mogli, madri e amanti. Come diceva uno slogan del 1968: "Non più puttane, non più madonne, ma solo donne!".

Paradossalmente, molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del "declino dell'impero patriarcale". Come se la violenza fosse l'unico modo per sventare la minaccia della perdita. Per continuare a mantenere un controllo sulla donna. Per ridurla a mero oggetto di possesso. Ma quando la persona che si ama non è altro che un oggetto, non solo il mondo relazionale diventa un inferno, ma anche l'amore si dissolve e sparisce. Certo, quando si ama, si dipende in parte dall'altra persona. Ma la dipendenza non esclude mai l'autonomia. Al contrario, talvolta è proprio quando si è consapevoli del valore che ha per se stessi un'altra persona che si può capire meglio chi si è e ciò che si vuole. Come scrive Hannah Arendt in una lettera al marito, l'amore permette di rendersi conto che, da soli, si è profondamente incompleti e che è solo quando si è accanto ad un'altra persona che si ha la forza di esplorare zone sconosciute del proprio essere. Ma, per amare, bisogna anche essere pronti a rinunciare a qualcosa. L'altro non è a nostra completa disposizione. L'altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice "cosa". È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. E che pensano di salvaguardare la propria virilità negando all'altro la possibilità di esistere.



Donne decapitate, bruciate, lapidate, pugnalate, folgorate, strangolate e seppellite vive per lavare “l’onore di famiglia” – sono terrificanti. Le ultime statistiche mondiali pubblicate dall’Onu nel 2007 parlano di circa cinquemila morti all’anno, ma in Medio Oriente e nel sudest asiatico molte associazioni di donne sospettano che le vittime siano al meno quattro volte di più.

L’Independentha condotto un’indagine durata dieci mesi in Giordania, Pakistan, Egitto, Gaza e Cisgiordania per raccontare questi crimini, che riguardano soprattutto donne giovanissime, spesso adolescenti. Tra le vittime ci sono anche degli uomini e, sebbene i giornalisti la descrivano come un’usanza prevalentemente musulmana, i delitti d’onore avvengono anche nelle comunità cristiane e indù.
Il concetto di “onore” va al di là della religione e trascende la pietà umana. Le volontarie che lavorano nelle organizzazioni peri diritti umani, ad Amnesty International, nelle associazioni delle donne, e negli archivi dei mezzi d’informazione, ci dicono che la strage delle innocenti accusate di aver disonorato la famiglia si aggrava ogni anno che passa.
I delitti d’onore sono frequenti soprattutto tra i kurdi dell’Iraq, tra i palestinesi della Giordania, in Pakistan, e in Turchia. Forse però questa sproporzione dipende dal fatto che in alcuni Paesi la stampa è più libera di denunciare e compensa la segretezza che circonda gli stessi delitti in Egitto, dove il governo nega che esistano, e in altri Paesi del Golfo e del Medio Oriente. Da molto tempo i delitti d’onore sono aumentati anche in Occidente: in Gran Bretagna, in Belgio, in Russia, in Canada. In molti Paesi del Medio Oriente, le autorità sono complici dì questi crimini, e riducono o addirittura annullano le condanne degli assassini se le donne fanno parte della famiglia, oppure classificano gli omicidi come suicidi per evitare i processi.

Il ruolo della donna nelle associazioni criminali di stampo mafioso è sempre stato caratterizzato da una certa ambiguità. La presenza femminile nell'organizzazione si basa sia su un’esclusione formale che in una partecipazione sostanziale alla vita dell'organizzazione.

Le donne non fanno giuramento di fedeltà all'organizzazione perché il loro primo dovere è quello di essere fedeli ai propri uomini. Nei casi in cui alle donne venga riconosciuto tale titolo, queste hanno il compito di dare assistenza ai latitanti, di far circolare le ‘mbasciate e di mantenere i contatti, attraverso i colloqui, tra i detenuti e l’organizzazione esterna.

Sono cruciali nel sistema della vendetta e risultano indispensabili in uno dei momenti simbolici più importanti per l’organizzazione, i matrimoni. La donna non risulta inserita nella dimensione inter-organizzativa, ma svolge funzioni essenziali nella dimensione famigliare dell’unità di base. Le donne risultano in grado di svolgere i ruoli criminali richiesti ai membri dell’organizzazione proprio perché sono appartenenti alla famiglia biologica. Per questo le donne non necessitano di ulteriori riti simbolici: sono considerate già per nascita fedeli e leali all'organizzazione.

La donna deve salvaguardare la reputazione maschile (che garantisce agli uomini di essere formalmente affiliati alla mafia) attraverso la sua rispettabilità e onorabilità. Alle donne era perciò richiesto un comportamento sessuale "corretto", ossia la verginità prima delle nozze e successivamente la castità. Per evitare la perdita dell'onore gli uomini dovevano così esercitare uno stretto controllo sulle proprie donne, un controllo che permaneva attraverso gli occhi del clan qualora l'uomo fosse stato incarcerato. Se l'uomo si dimostra capace di mantenere un controllo totale sulla propria donna, agli occhi degli altri sarà capace di mantenere un controllo anche sul proprio territorio. Il pudore femminile rappresentava la via per mantenere intatto l'onore maschile. L'uomo in sostanza deve mantenere una buona reputazione. La rettitudine femminile garantisce la reputazione maschile. Il comportamento sessuale di una donna condiziona sia l'entrata di un uomo all'interno dell'organizzazione che la propria carriera. Per la donna vige il divieto assoluto di commettere adulterio. Divieto che per l'uomo non sussiste dato che privatamente può mantenere una doppia vita. Anche le vedove sono obbligate a rimanere fedeli ai mariti o fidanzati defunti, per evitare un eventuale disonore familiare.


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